In difesa dell’unicità caratteriale ovvero contro l’omologazione dettata dalla società.
Il comandamento secondo il quale dovremmo essere tutti belli e palestrati, dinamici, sorridenti e perennemente ben pettinati come tanti ospiti-concorrenti di un qualsiasi programma televisivo ci viene propinato in maniera così martellante e luminosa che si è radicato nei cervelli della maggior parte delle persone. Oggigiorno l’aspetto esteriore è tutto. Penso al giudizio del grande Francesco De Sanctis sulla letteratura italiana secentesca: diceva il critico, nel suo insuperato capolavoro, che ad un certo punto la forma comincia ad avere più peso del contenuto, fino a quando la forma diventa il contenuto, ovvero fino a quando l’eleganza stilistica diventa il contenuto stesso dell’opera artistica ( si pensi all’opera del Marino per esempio). Si badava esclusivamente alla musicalità delle parole, all’eleganza formale, fino a quando la musicalità prese del tutto il sopravvento e nacque il melodramma. Mi è venuto in mente il De Sanctis perché, in fin dei conti, anche la mia riflessione sui giorni nostri giunge alla conclusione che la forma sta prendendo il sopravvento sul contenuto. Si è persa l’abitudine a guardare profondamente le cose, ad oltrepassare la soglia del mero aspetto esteriore. Un’occhiata e via, non c’è tempo per sondare, per scandagliare le cose che ci attorniano. E in quest’ottica del “uno sguardo e via” è ovvio che l’aspetto esteriore acquista un’importanza capitale. E la stessa miopia ridimensiona lo sguardo anche quando questo è rivolto a noi stessi. Non c’è tempo per riflessioni profonde, meglio correre e fingere di essere felici. Vedo l’introspezione, a me tanto cara, vacillante sotto i colpi mortali inflitti dalla superficialità dilagante.
E’ probabile che a molte persone lo stereotipo della persona felice-abbronzata-e-contenta calzi a pennello o, meglio, rispecchi le aspettative, i desideri, rappresenti la felicità stessa. Non sopporto chi pensa, però, che debba essere così per tutti. L’unicità caratteriale, una cosa bellissima, va rispettata senza indugi. Ben venga chi è propenso, per natura, all’introspezione o alla malinconia, alla riflessione, al silenzio, alla solitudine. Queste che ho citato sono attitudini pregevolissime, non comportamenti al limite del patologico come la società vorrebbe farci credere. Ovvio che una persona tendenzialmente introversa, intelligentemente solitaria e malinconica diviene un consumatore di scarso livello, in quanto poco recettivo nei confronti dei messaggi che la società vorrebbe inculcare a tutti quanti. E allora giunge la demonizzazione, l’appiccicare addosso, a chi non è, e non sogna di essere, bello-sorridente-e-abbronzato , l’etichetta di povero sfigato o anormale etc.
Non è certo mia intenzione giocare a fare il reazionario o l’anticonformista a tutti i costi. Dico solo che, a quanto pare, i belli-e-sorridenti dallo sguardo miope additano gli altri come poveri sfigati. E una società in cui avviene questo, bè, nutre in seno qualcosa di malato. Punto e basta.