25 ago esco di casa con poche cose, una maglietta e un paio di boxer di ricambio, il libro con l’opera completa di Rimbaud, un po’ di soldi in tasca e quella leggerezza che mi fa sentire bello, sorrido armoniosamente dentro di me. A mezzanotte parto da XXXXX, la notte trascorre inutile e silenziosa e alle 8,30 del mattino sono alla stazione Bercy di Parigi. Attraverso mezza Parigi a piedi, per raggiungere la stazione Est, me ne infischio affabilmente del fascino e delle attrattive parigine e prendo il treno alle 12:57, alle 14:30 sono a Charleville. Dopo un quarto d’ora decido che anche a me Charleville sta sui coglioni, una mediocre parentesi urbana immersa nelle ardenne, mi sta sui coglioni e per spirito di emulazione, per affilare quell’affinità, per rafforzare quel sentire che mi ha portato fin qui (Lui non la sopportava la sua cittadina, quante rocambolesche fughe di casa…) decido d’investire buona parte del mio budget prenotando cinque notti in albergo, non ci sarà spazio (…and money! Eheheheh) per Reims, Parigi etc. , starò qui fino ad annoiarmi, fino ad aver voglia di scappare. Arturino-caro, infiltrati dentro me ancora di più, miscèlati con i miei globuli rossi! Proprio davanti alla stazione c’è un busto di Arturino, eretto nel 1901 per celebrarlo come esploratore, quando ancora l’umanità aveva troppe fette di prosciutto negli occhi per apprezzarne l’opera letteraria.
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Ho percorso parecchi chilometri a piedi (quanti ne avrai percorso tu?), ho attraversato mezza Parigi ed ora percorro e ripercorro le strade di Charleville, accanto al vecchio mulino, sul lungofiume della Mosa, m’imbatto, in quai Charcot, nella statua realizzata una dozzina d’anni fa da un certo Hervè Tonglet, statua raffigurante il mio Arturino con la testa inclinata poggiata sulla mano destra, la chioma indomabile, l’espressione triste e pensierosa e l’aspetto da adorabile ragazzino impertinente: non c’è praticamente nessuno nei paraggi ed io resto un po’ solo con lui, sembra che poco sia cambiato in tanti anni, i suoi concittadini pare ancora non si rendano conto della grandezza dell’adolescente geniale e ribelle cresciuto nella loro città. Pochi passi e, in rue du mulin, all’inizio di quai Rimbaud, incontro il vecchio mulino, sulla Mosa, ora sede del museo Rimbaud: decido che il museo lo visiterò domani perché ora mi preme fare una cosa che ho sognato per tanto tempo, una cosa che ora mi fa palpitare il cuore, comincio a sentirmi emozionato come un bambino; quasi a voler prolungare l’emozione dell’attesa scelgo con cura il punto in cui scendere sino alla riva della Mosa, scendo, sono a pochi passi dall’acqua: mi siedo sull’erba, sento piacevolmente gli occhi inumidirsi, il mondo allontanarsi. Sono davanti a quelle stesse acque che ispirarono, ad un geniale adolescente, Le bateau ivre, poesia che incontrai a sedici anni e che non mi lasciò mai più. Non voglio certo fare il sentimentale a tutti i costi ma l’emozione che sento m’impregna tutto l’animo, come una nebbiolina che solo io posso vedere, penso al mio Arturino-caro così intensamente, come ad un vecchio amico scomparso, di più, come ad un fratello mai conosciuto di persona. Attraverso gli occhietti lucidi fisso quell’acqua verde scura, mi accendo una sigaretta, poi un’altra, i minuti volteggiano senza toccarmi, mai una massa d’acqua, neanche troppo pulita, è stata tanto bella e cristallina, pura e divina. Lascio che le mie sensazioni si adagino sulla superficie dell’acqua, come foglie che abbandonano l’albero-madre e si lasciano trasportare libere, leggere…
Ho percorso parecchi chilometri a piedi (quanti ne avrai percorso tu?), ho attraversato mezza Parigi ed ora percorro e ripercorro le strade di Charleville, accanto al vecchio mulino, sul lungofiume della Mosa, m’imbatto, in quai Charcot, nella statua realizzata una dozzina d’anni fa da un certo Hervè Tonglet, statua raffigurante il mio Arturino con la testa inclinata poggiata sulla mano destra, la chioma indomabile, l’espressione triste e pensierosa e l’aspetto da adorabile ragazzino impertinente: non c’è praticamente nessuno nei paraggi ed io resto un po’ solo con lui, sembra che poco sia cambiato in tanti anni, i suoi concittadini pare ancora non si rendano conto della grandezza dell’adolescente geniale e ribelle cresciuto nella loro città. Pochi passi e, in rue du mulin, all’inizio di quai Rimbaud, incontro il vecchio mulino, sulla Mosa, ora sede del museo Rimbaud: decido che il museo lo visiterò domani perché ora mi preme fare una cosa che ho sognato per tanto tempo, una cosa che ora mi fa palpitare il cuore, comincio a sentirmi emozionato come un bambino; quasi a voler prolungare l’emozione dell’attesa scelgo con cura il punto in cui scendere sino alla riva della Mosa, scendo, sono a pochi passi dall’acqua: mi siedo sull’erba, sento piacevolmente gli occhi inumidirsi, il mondo allontanarsi. Sono davanti a quelle stesse acque che ispirarono, ad un geniale adolescente, Le bateau ivre, poesia che incontrai a sedici anni e che non mi lasciò mai più. Non voglio certo fare il sentimentale a tutti i costi ma l’emozione che sento m’impregna tutto l’animo, come una nebbiolina che solo io posso vedere, penso al mio Arturino-caro così intensamente, come ad un vecchio amico scomparso, di più, come ad un fratello mai conosciuto di persona. Attraverso gli occhietti lucidi fisso quell’acqua verde scura, mi accendo una sigaretta, poi un’altra, i minuti volteggiano senza toccarmi, mai una massa d’acqua, neanche troppo pulita, è stata tanto bella e cristallina, pura e divina. Lascio che le mie sensazioni si adagino sulla superficie dell’acqua, come foglie che abbandonano l’albero-madre e si lasciano trasportare libere, leggere…