solo, come un finestrino del treno che osserva ogni paesaggio passare, senza occhi che lo attraversano. le cose grandiose, meravigliose, le lascio dentro, non le libero all’aria aperta, si rimpicciolirebbero come figurine adesive prive di fascino. quello che faccio è solo zampillare un po’ del mio sangue, sanguinare come un dio pagano, mille volte morire dissanguato, straziato sull’altare della mia bellezza personale. mi bagno nel lago della più soave delle crudeltà, tutto questo senza che gli altri vedano, comprendano. sono un dio. a modo mio lo sono. con umane fragilità che mi donano una grazia che nessuno può vedere. affogo nella mia follia, quando posso farlo lo faccio senza ascoltare voci, senza indossare mimetici indumenti sociali, follia-libertà, coraggio di fuggire, estraniarsi, abbandonarsi a se stessi. sono un moderno, giovane dio pagano sbocciato nel cemento. sono un concentrato di parole sgrammaticate con una miriade di grovigli di suoni e rumori che come rovi si arrampicano avvoltolandosi con le loro spine. mentre i vostri visi s’illuminano stroboscopicamente davanti agli spot pubblicitari, io gioco a punzecchiarmi con le mie spine invisibili, divine lance che mi trapassano regalandomi estasi a voi negate. indossare i panni del pagliaccio significa non parlare in questo modo, di queste cose, con chi mi circonda. sono stato un uomo, un ragazzo, un astro e un amante. sono un moderno e giovane dio pagano con abiti modesti. galleggio ma è come se volassi come un maestoso uccello dalla bellezza fiabesca. sono l’uccello di fuoco e se vi sfioro, se vi sembra d’intravedermi, è solo una mia piuma che vedete…
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