la mia splendida dama ottocentesca non mi abbandona mai, è come un’ombra, sebbene qualche volta non la si veda è sempre lì, al mio seguito, fedele e affezionata come niente al mondo. la mia solitudine è un crimine contro la società, un crimine che dà gioia e tormento, mi nutro di entrambi, della gioia e del tormento. adoro pensare che le rotelline degl’ingranaggi della mia vita siano tutte ingarbugliate senza troppa logica. per quasi tutti la felicità equivale ad oliare bene gli ingranaggi e far sì che funzionino in maniera precisa e meticolosa. la costanza e la regolarità dell’ingranaggio infondono sicurezza e tranquillità, consentono una navigazione quieta, lontana dalle tempeste e dagli spuntoni rocciosi. io resto nelle mie acque, profonde e imprevedibili, grigie come un cimitero, azzurre come un pensiero, blu come l’anima quando sta per giungere la notte. uragani e armonie musicali si alternano sulle mie vele, graffiando, a volte accarezzando la mia pelle abbronzata che è come un legno stagionato e secolare. vado incontro al buio, alla tempesta, alla notte, al fuoco e ai coltelli. alla deriva. meravigliosamente, assolutamente, semplicemente SOLO. mi faccio del male, come se mi tuffassi nel bel mezzo di un sole accecante. mi brucio, mi scortico, m’incendio, mi graffio fino a sentire il sangue che scorre sulla mia superficie rinsecchita. mi graffio con dolcissima violenza. sprofondo nel mio buio. come morire, come non sentire, come sprofondare, come morire. addio.
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