c’è una
certa forma di masochismo nel provare piacere nell’esser così distante da un
buon sonno. romantica elettricità viscerale, qualcosa del genere. qualche
secolo fa, era il 1817, ero bambino, avevo pochi anni, un bellissimo pallore
cadaverico s’impadronì di me, un branco di lupi nel bosco girovagava inquieto e
affamato, il cielo era di un azzurro pastello così tenue, sentii una sensazione
di distanza dal mondo intero, mi era già capitato di avvertirla nei secoli
addietro, sentii di nascere, o rinascere, dall’oscurità e dal silenzio. sentivo
di non appartenere ad alcuna famiglia terrena, di umani insomma. vidi forse per
la prima volta la mia splendida dama ottocentesca. mi guardava come una madre,
come la morte, come una maledizione che ha trovato il suo scopo. era bella, il
suo sguardo era solo per me, mi sentivo invisibile a tutti gli occhi umani,
sentivo che mi sarei voluto far vedere solo da quello sguardo così nero,
intenso, un nero lucido scintillante, di una bellezza commovente. sentivo di
voler essere suo, la sensazione di un bambino per la propria madre. baciato da
quello sguardo sentivo di non dover rincorrere nulla. dal bosco, non chiedetemi
come facessi a sentirlo, udivo un suono di tamburi, quel suono mi trasmetteva
una specie di elettricità simile a quella che sento adesso. poi mi sono
svegliato (o addormentato) in questo vostro mondo, affibbiato ad una
famigliola, una casa, l’asilo, la scuola e tutte quelle cose lì. catapultato in
un cazzo di circo senza nemmeno fare domanda d’assunzione. ma si tratta di un
tedioso lavoretto da impiegatuccio. non sono nato in questo mondo e per questo
non ci sono affezionato.
venerdì 27 settembre 2013
lunedì 23 settembre 2013
nudo sudo
mi graffio mi coloro mi lavo. forse buio. prendere a calci un po’ di soffici
nubi colorate parlanti. adesso tamburi e fuochi e selvagge danze malferme.
porte chiuse e mente spalancata. ancora calci al globo e qualche sputo sul
tendone. lascio evaporare ogni parola. i lupi brancolano nella loro dolce
casetta cittadina. lo sguardo tenero e premuroso della mia splendida dama
ottocentesca. ha occhi neri pelle bianca e un vestito rosso. il fondo di un
oceano di petrolio bellezza cadaverica e il fuoco amico che brucia. violenza
bacia quiete. tristezza bambina e inviolabile sicurezza adulta. inarrivabile
bellezza di dama. la mia splendida dama ottocentesca. mi dice cose senza
parlare sussurra alla mia anima senza aprir bocca. seduto sul pavimento del mio
piccolo mondo elitario. mi bacia con quel suo sguardo che è l’unica tenerezza
accettabile. mi spiega quanto sia duro amare la solitudine. i suoi occhi neri
accendono le mie tenebre come fuochi domestici. intanto io mitemente mi graffio
fino a sanguinare soffici colori carezzano la mie pelle sono un pellerossa
guerriero pronto alla sua battaglia tutta interiore. pronto a morire.
desiderando che il mondo resti fuori. cresce nella mia stanza davanti a me in
due o tre secondi un’enorme quercia alta venti trenta metri almeno. la
corteccia è magnificamente irregolare solcata dall’amore del tempo che uccide.
vorrei abbracciare la corteccia così forte da morire. c’è tutto il mio futuro e
la mia sofferenza in quelle pieghe. in quelle piaghe senza cuore. anche senza
specchio posso vedere il mio occhio pozzo fondale baratro e burrone. se solo lo
guardaste ora sareste risucchiati come in un buco nero. un aspirapolvere
cosmico incassato nella mia scatola cranica. accolgo le stranezze dell’aria che
mi giungono come portate da lontano dalle ali della notte. i graffi sulla mia
pelle sono più profondi dei solchi sulla corteccia il mio sangue è tempo tempo
nato e cresciuto nel cuore dell’africa una lunga leccata sull’equatore una
risata una festa senza invitati una processione di pazzi pupazzi assassini.
vorrei pisciare ora in un fiume. per sentire la mia vita che fuoriesce a caldi
fiotti dal mio corpo. pisciare all’aria aperta in piena notte è un po’ come
sanguinare. in questo momento vorrei che mentre leggi queste parole pensassi
che non puoi fare a meno di me. ti faccio entrare dentro di me nella mia
foresta vorrei prendessi a morsi il mio cuore. mi mordo una spalla. la mia
notte è un viaggio un viaggio al termine della notte. erezione letteraria
cèline che scrittore! la sua ironia si slinguazza con la sofferenza sotto le
fronde dell’albero della grande scrittura. reclino la testa all’indietro
guardando il soffitto sono una specie di dio che nessuno può toccare sentire
vedere. immaginare. tra tamburi danze colori fuochi e sangue stranamente ancora
non sono morto. uff. spero di non fare sogni ambientati in un qualche angolo di
terra frequentato nel mio passato. stanotte voglio fantastici scenari ultraterreni.
mercoledì 18 settembre 2013
mai andato d’accordo con l’allegria, perlomeno con
quell’allegria che inseguono le personcine che mi attorniano. l’allegria che
conosco io è una cosa da non condividere con nessuno. se non condividi un bel
po’ di risate con gli altri, con l’avanzare dell’età sarai sempre più solo e
creperai senza nessuno attorno. probabilmente questo sarà il mio destino. amen.
certo che se andare incontro all’allegria significa dimenarsi come un
epilettico oligofrenico (adoro questo termine che ho imparato dalla mia
bellissima musa dalle vene di ghiaccio, un modo così elegante e ironico di dare
dello stupido alle persone eheh) a suon di musica del cavolo be’, preferisco
crepare. e mentre crepo non rompetemi le palle, grazie. ri-amen. mmmm perché
stavo parlando dell’allegria? boh, forse perché oggi mi sento quasi allegro,
sempre a modo mio s’intende. e forse sono allegro anche perché me ne posso
stare per i fatti miei, a dèbita distanza dall’allegria degli altri. voi tutti
in prima fila con sorriso-a-gettone, pensieri azzerati, individualità sotto le
suole delle scarpe. io ringrazio il fato per il mio biglietto, per il mio posto
a dodicimila anni luce dalla scena. diomio, quando morirò non sarò più
costretto a frequentare il circo. e questo per me sarà già paradiso.
venerdì 13 settembre 2013
carmelo bene
la
persona più colta del mondo (e fuori di testa) è jorge luis borges. dopo di lui
qualcun altro. tra questi il signor carmelo bene, fuori di testa (e piuttosto
colto). ricordo che appresi della sua morte attraverso uno schermo in un fast
food, ero assieme alla mia bellissima musa dalle vene di ghiaccio. ero con lei
anche quando dissero che papa giovanni paolo II era morto. quand’ero 14enne
ricordo che di tanto in tanto m’imbattevo in qualche immagine rai dedicata al
signor carmelo bene, il suo amleto, pinocchio, le letture dantesche. immagini
trasmesse ad orari improponibili, ultranotte super inoltrata. nessun 14enne
avrebbe mai osato soffermarsi su quelle immagini. ma, dopotutto, nessuna 14enne
ascolterebbe mai i talking heads (eheh). con i miei amici colti adolescenziali
scherzavamo imitando le interpretazioni del signor carmelo bene, estremizzavano
la sua pronuncia estrema. oggigiorno, sentendo la parola teatro, in molti penserebbero a lorella cuccarini e grease e la bella e la bestia e quelle cose lì. dopotutto a nessun 14enne verrebbe in mente di ascoltare i talking heads. da adolescente avevo amici colti e amici teppistelli
(una lampadina o è accesa o è spenta, dice qualcuno). mmmm ma perché mi è
venuto in mente carmelo bene?
lunedì 9 settembre 2013
gli umani che mi attorniano
si differenziano così poco gli uni dagli altri. tutti specchi d’acqua così poco
profondi, la luce del sole e delle lampadine comodamente giunge nel loro
fondale privo di misteri. i loro orologi hanno lancette così noiosamente
esatte. i miei eroi, loro avevano lancette deformate, splendidamente imperfette.
mercoledì 4 settembre 2013
sono
sensibile al fascino delle persone che hanno sofferto, al fascino delle anime
tormentate da inquietudini che straziano il velo di apparente tranquillità
della vita. le anime mediocri cercano facili rassicurazioni, quelle profonde
rovistano nel loro Io per smuovere insicurezze, dubbi, paure, incertezze… le
anime che raschiano il fondo del loro barile hanno un coraggio che è puro
fascino per occhi sottili, aguzzi come lame che possono fendere la notte più
buia e temporalesca.
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