La mia casa
è bianca e glaciale evapora invernale indifferenza dalle mie ossa ricoperte di
candida pelle che sa di neve e alienazione e incorporea trasparenza serafica.
Sono un’evanescente dea incastonata in un monolocale al tredicesimo piano. Il
pavimento è il mio prato su cui le labbra del sole mai si posano. Piove, sono
le 2:46 di una notte silenziosa. A parte lo scroscio dell’acqua che graffia il
buio e la città. Stanotte nemmeno una goccia di sangue mi scivola sotto pelle.
Non ho nessuno al mondo, sono completamente sola, sono nata completamente sola,
per ufficializzare la mia solitudine ci è voluto un incidente stradale che due
anni fa ha annientato la mia famigliola tra lamiere sangue asfalto e cemento.
Senia è via da un po’ di giorni per una solitaria vacanza tropicale, per Lara è
tempo di esami, io sono un’antartica ninfa che nei tropici striderei come un
insolente gessetto sulla lavagna e le scuole e le istituzioni credo servano a
conformare e appiattire le intelligenze. Sono completamene sola al mondo,
nemmeno Senia e Lara in questi giorni. La mia dolce e sconsolata Micky lontana
anche lei, rinchiusa nel suo collegio per ricche ragazze tristi e beneducate.
Ascolto la pioggia, la mia pelle è così fredda che potrei dubitare di essere
viva. Un metro e settantaquattro per quarantaseiequattrocento, sono la più
bella diciannovenne del mondo. Adoro guardarmi mentre nessuno mi guarda.
Guardatemi mentre mi guardo e nessuno mi guarda. Sono la più bella
diciannovenne del mondo.
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