respiro un po’ d’aria lunare, la luna dei poeti
però, non quella degli astronauti. dimentico la pesantezza del bronzo e tutt’al
più mi concedo il pensiero di una lama d’acciaio che scintilla come argento,
l’argenteo lunare dei poeti. una luce pura e senza peso da cui mi farei
volentieri penetrare, sbranare. i poeti hanno un certo fuoco dentro. il fuoco
brucia, lacera, strazia. io ho i miei lupi, quelli che rovistano nel cuore
della notte mentre le persone comuni dormono sonni tranquilli. quando sarò
carne morta vorrei che qualcuno vedesse nelle mie parole un barlume di luce
lunare, la luna dei poeti. cosa sarebbe la vita senza nemmeno uno stralcio di
aspirazione? boh, domanda retorica, così, tanto per dire. mi sovviene ciò che
diceva il poeta “la luna è gia scesa sul mare, stanche son tutte le stelle e
grigio il giorno s’avanza, vorrei morire.” in queste parole io vedo un barlume
di luce lunare, mi ci accarezzo la pelle con questo barlume. ecco perché esiste
la poesia: perché io, adesso, in questa notte, con queste parole, mi ci possa
accarezzare la pelle. e per chi non capisce un bel vaffanculo.
oste di
questa notte lunare, mescimi un pianto privo d’ombre in grado di rapirmi, mesci
copiosamente e non farti pregare, trapassami col tuo disciolto pianto
dall’appagante melodia pregiata. il garzone nel suo vassoio colmo di calici
strapieni porta anche qualche strascico di fulmini e babeliche cattedrali, i
suoi movimenti sono lenti, romantici e quasi malati. mi sento bello come un
traslucido scheletro privo d’impressioni, aleggia nell’aria un delizioso
sentore d’ironia. la mia insonnia è ora uno sterminato e desertico tappeto
ornato di mille e mille petali di un blu meravigliosamente intenso. ogni
angoscia come un sibilo scivola via da questo luogo, se avessi un po’ di pelle
direi che l’immaginazione sgorga e mi scorre a fior di pelle. sono un mare
meravigliosamente privo di stelle.