martedì 29 novembre 2011


.... nel film Lawrence d'Arabia c'è una famosa scena in cui Lawrence con un soffio
spegne un fiammifero e, nel fotogramma successivo, compare una splendida alba nel deserto...

...tutti da terminare... nell'alba manca ancora il protagonista, il sole nascente..

...quella appena abbozzata -----> è la mia famosa amica matta eheh

giovedì 24 novembre 2011

non dovrei scrivere, ora. mi piace scrivere quando ho la possibilità di rinchiudermi in me stesso e non uscire dal mio guscio. invece, tra poco, mi toccano il circo, nasino rosso e cerone. mi piace così tanto ripiegarmi su me stesso che il contatto con la quotidianità diventa, a volte, quasi traumatico. come uscire da una casa ben riscaldata in maniche corte, in dicembre. una splendida nebbia, fuori. sono placido come un mare che non conosce tempesta. scivolo nelle mie acque, un vero peccato dover attraccare in lidi così poco confacenti al mio animo. mi tocca farlo, semplicemente perché non sono milionario. i milioni mi servirebbero semplicemente per mandare definitivamente al diavolo la società. ma non li ho, i milioni. quindi non mando la società al diavolo, anzi, ci vado io all’inferno. d’accordo, la mediocrità porta con sé il suo peso schifoso, ma definirla “inferno” forse è esagerato. però la frase suonava bene quindi amen.

sento la nebbia dentro. ma non è come se si infiltrasse attraverso la pelle, i muscoli e le ossa e fluttuasse morbida e leggera dentro me. non è così. è come se la nebbia che c’è fuori fosse un’emanazione di quella che ho dentro, come se il mio meraviglioso torpore, fradicio di solitudine e isolamento, si espandesse, non bastandogli lo spazio all’interno del mio animo. nessun essere vivente mi è vicino, neanche un po’. probabilmente questo basterebbe a gettare nello sconforto tante persone. io ci sono abituato, o forse sono davvero un po’ strano. o forse tutte e due le cose. ad ogni modo il mio isolamento è una naturale conseguenza della mia mmmmm diversità. naturale come un uccello che spicca il volo la prima volta, non sapendo nemmeno di saper volare. ah, se solo avessi qualche milioncino in banca, manderei al diavolo tutti quanti. e invece nasino rosso, cerone e parrucca colorata. un altro giorno travestito da comune mortale. mimetizzato tra la moltitudine.

martedì 22 novembre 2011

mercoledì 16 novembre 2011

ma cristosanto, ci deve essere qualcosa di storto nella mia testa. sono quasi le due di notte, ero a letto da una decina minuti, visto che la sveglia è puntata alle 5,30, il circo apre i battenti prima dell’alba. anzi non chiude mai. comunque, ero a letto da una decina di minuti quando ho cominciato a riflettere su quel cazzo di filippino o sudamericano della metropolitana. oggi pomeriggio sono andato in centro ad immergermi e confondermi nella massa avvolta da una meravigliosa nebbia grigia e fredda. al ritorno, in metropolitana, davanti a me, in piedi tra la calca di persone, tre donne sui quaranta. colleghe di ufficio. parlottavano come se fossero dal parrucchiere. io ero seduto e accanto a me un filippino (o latinoamericano o quel cazzo che volete) ronfava alla grande, con le cuffiette nelle orecchie che sparavano a vuoto sulla sua testa addormentata. le tre tizie parlavano ininterrottamente, in metropolitana è abbastanza raro che le persone parlino o interagiscano tra loro, la metro è un condensato di alienazione urbana. alienazione urbana in maxiscatolette, alienate sardine stipate in vagoni che si muovono su rotaie. comunque, il filippino dormiva pesantemente e di tanto in tanto la sua testa crollava in giù con uno scatto, il collo scattava come una lancetta dell’orologio. mentre le tre tizie sciorinavano la loro mediocrità, solite cose, mariti, bimbi, centri di benessere, massaggi, vacanze e bla bla bla, io pensavo al tizio al mio fianco. probabilmente era uscito di casa alle sei del mattino e, da quel momento, solo calci in culo. calci in culo e ginocchia dell’anima consumate a forza d’inginocchiarsi. questo per tutta la giornata, fino a quel momento. poi il crollo sul seggiolino della metro. la stanchezza, la vera stanchezza che prendeva il sopravvento e metteva ko il fisico con un montante piazzato dritto sul mento. poi sarebbe rientrato a casa, un umido monolocale vecchio e scuro, con i muri ammuffiti rischiarati dalla luce giallognola del lampadario. la moglie e le bimbe. le bimbe dallo sguardo vivace e l’animo semplice senza pensieri, la moglie che finge serenità, tanto per confortare il marito esausto e scazzato dalla vita. entrambi, marito e moglie, aggrappati a quell’1% di possibilità che le figlie faranno una vita migliore di quella. metterebbero la firma per far sì che le figlie facessero una vita come la mia. ci sono milioni di persone che fanno una vita peggiore della mia. ci sono milioni di persone che fanno una vita migliore della mia. questo vale per qualsiasi persona. la solita storia del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, insomma. comunque, in sintesi, la morale della storia è che quando comincio a riflettere così, a letto, tanto vale che mi alzi e mi metta davanti al pc a far danzare le parole. tanto di dormire non se ne parla. ora vado a scegliere un libro. buonanotte a chi dorme. e a chi è ancora sveglio.

martedì 15 novembre 2011

mmmmmmm copio e incollo dal file intitolato "1995" ...

“riflessioni seduto davanti alla notte”

Vorrei

dei miei più bei ricordi

fare una collana

che indosserei

nei giorni più neri.

Vorrei poter conservare

nel mio cuore

un po’ dell’aria

fresca e libera

della notte…

Un pipistrello

svolazza continuamente

e mi fa un po’

di compagnia.

Le sue ali

fendono la notte

la quale ricicatrizza

subito le subdole ferite

colmandole

di nuovo buio

che si unisce

immediatamente

all’inscindibile

manto nero.

Oh mio dio della notte

i tuoi occhi splendenti

mi salutano

e mi parlano

col loro astratto

linguaggio di luce

e la luna…

Vorrei avere un po’

della sua bellezza

qua affianco a me!

So di essere superbo

ma qual uomo

può non desiderare

tanta bellezza

irraggiungibile?

Son qua seduto

piccolissimo nel buio

e tutta la mia

invisibile bellezza

prende forma

solitaria e silenziosa

come una lucciola

nel più profondo

e oscuro baratro.

Oh miei cari angeli

amori andati via

per sempre

dalla mia vita

desidero dirvi

che non si spegnerà

mai

il lume da voi

acceso nel

mio cuore pietrificato

sempre splenderà

in me

la luce

del vostro indimenticabile

amore

di cui ora

sento tanto la mancanza.

Oh mia amica notte

sei forse tu parente

dell’altra

immensa nera signora?

In questa notte

son sicuro

da qualche parte

nel cielo addormentato

e sognante

viaggia un cavallo alato

fatto di luce

che raccoglie

tutti i pensieri

e le parole

di chi

come me

affida le proprie emozioni

a te

cara amica Notte.

Seduto

solitario e silenzioso

nel buio.

#####

“macabra e triste processione”

non vedo l’ora

di terminare

questa macabra

e triste processione.

sono stanco

non m’importa

dove o quando arriverò

voglio solo metter fine

alle sofferenze quotidiane.

sono sempre più stanco

ogni giorno che muore

uccide una mia cellula

il mio corpo

riflette la gioia di vivere

che è in me.

le giornate impietose

spariscono alle mie spalle

lasciandomi addosso

il loro sconvolgente

peso insopportabile.

sono troppo stanco

per andare avanti

non ho più le forze

necessarie a sorreggermi

in questo calvario

triste e solitario.


#######

Muoio.

Anche stasera

sento di morire

così come ieri sera

e ieri l’altro anche.

È una morte lenta la mia

la mia giovine esistenza

si consuma

sotto i famelici

continui morsi

del baratro

che pian piano

m’inghiotte.

Anche stasera,

come le altre volte,

cerco di rivolgere i miei

ultimi pensieri

a qualcosa

ma non ci riesco

e mi ritrovo con la penna in mano

ad imbrattare un foglio

che vorrei fosse

la mia lapide

che facesse ombra

sul mio letto di morte.

per questo

chiedo perdono a Dio

ma non posso più

andare avanti

il mio cammino si ferma qui.
#####

“ho voglia di rumore”


ho voglia di rumore

di nessun amico

gridare di terrore

tendere l’arco

odiare qualcuno

ripulirmi da me stesso

bere sporco

stuprarmi l’animo antico

allontanarmi dalla vita elitaria

consumarmi e insudiciarmi

ritrovare la via solitaria

domenica 13 novembre 2011

charles bukowski

la mia bellissima musa dalle vene di ghiaccio mi ha mandato un sms per dirmi che ha ripreso in mano un libro che le regalai. non amo regalare “i miei libri”. probabilmente l’ha ripreso in mano per amore della letteratura. forse un pochino perché ha nostalgia di me, almeno così mi piace pensare. quello stesso libricino lo lessi per la prima volta da adolescente e lo regalai ad un amico adolescenziale, uno di quegli amici con cui si condividono mille notti adolescenziali, mille sbronze, mille cazzatine giovanili. il protagonista di quel libro divenne, per me e per il mio amico, un punto fermo da condividere, spesso lo citavamo compiaciuti. comunque, il libricino in questione l’ho ripreso in mano anch’io e me lo sono sparato in due giorni. ora ne ho in mano un altro, dello stesso scrittore, charles bukowski. secoli fa avevo l’abitudine, quando terminavo un libro che mi era piaciuto, di scrivere nelle ultime pagine bianche alcune impressioni. in questo libro che ora ho in mano c’è un mio piccolo addio allo zio buk, il libro in questione è un po’ il suo testamento letterario, aleggia ovunque il sentore della morte imminente. prima di trascrivere il mio piccolo addio mi piace citare la prima pagina del libro. tre ragazzi bussano alla porta di bukowski per chiedere un autografo. lui li caccia via dicendo che non hanno nemmeno una penna e della carta in mano.

“… li ho guardati allontanarsi e ho richiuso la porta. Ed eccomi qua a scrivere di loro. Con quelli bisogna essere piuttosto decisi, o ti arrivano addosso a frotte… … Uno scrittore non ha niente da dare se non quello che scrive. Al lettore non deve nient’altro che la disponibilità della carta stampata. E il peggio è che molti di quelli che bussano alla porta non sono nemmeno lettori. Hanno solo sentito parlare di te. Il miglior lettore e il miglior essere umano sono quelli che mi fanno la grazia della loro assenza.”.

ultima paginetta bianca del libro, da me imbrattata con una matita dal tratto quasi trasparente:

“beh, ciao zio buk. alla fine hai emesso l’ultimo etilico rutto e via… quante, quante ne abbiamo passate assieme. almeno, io assieme a te, tu non sapevi nemmeno della mia esistenza, per te ero solo uno che contribuiva a pagarti le spese, benzina-birra-cavalli, un tuo lettore insomma. non penso fossi un tipo da amare solenni epitaffi. ciao vecchio zio buk, una fetta dell’affetto spesa nella mia esistenza te la dedico di cuore, in tutta sincerità, senza stronzate di circostanza.

un giorno o l’altro berremo un bicchierino assieme”.

ilbatt, 1999

domenica 6 novembre 2011



tempo da blade runner. la notte e la pioggia formano un’invisibile barriera tra le menti che si lasciano prendere a morsi da profondità incomunicabili e le rotonde faccine giallastre, stupidi adesivini con l’effige dello smile. l’inverno è alle porte, giungerà senza bussare col suo passo d’indifferente silenzio di ghiaccio e di vento. al di qua della finestra un cosmo freddo e confortevole, un soffice giaciglio per una mente che compiacendosi si dilata, oscillando lenta come in una danza stregata. ardo apaticamente come una stella che piange nel silenzio più buio che possa esistere. morbido sprofondare in una lontananza che è una lama fredda che affonda nel calore di una carne che eiacula sangue. essenza vitale evapora, condensandosi tra lucide pareti di vetro. non esiste creatura che possa accostare il suo occhio alla mia finestra ghiacciata. pioggia sacra stanotte, anche se voi, sicuramente, vedete solo acqua che cade senza pensare. dentro la mia stanza sono una liturgica statua inviolabile. assenza di profumi e di colori, un cosmo privo di cielo, eterna leggerezza che sprigiona un’intima bellezza immateriale. senza che me ne accorga si rivelano nella stanza, docili e selvaggi, i miei familiari lupi antichi come il pianto e come il vino. offro la mia carne in un gesto di distacco dalle vostre presenze insonorizzate dai miei vetri rigati dalla pioggia, satinati dalla condensa che sa di caverna millenaria. spengo le candele e mi lascio divorare dal buio.

sabato 5 novembre 2011

mi corrodo dall’interno alimentando un fuoco che mai poserà il suo bagliore sulle vostre guance lontane. benzina, benzina sul fuoco, benzina su un fuoco che divampa aggredendo i fili invisibili del mio essere dannato, distante, languido, affilato pagliaccio. brucio, brucio come un carbone ardente ma la mia pelle è ancora intatta, ciò che voi vedete di me è una pura e semplice cazzata. quando il fuoco sarà spento, siatene certi, ne avrò apprezzato tutto il confortevole tepore, così come ora assaporo l’accogliente calore che dall’interno emano. cute gelida, carboni infernali nello stomaco. non sono un bimbo che per incoscienza è morto giocando con fiammifero e benzina. gioco col fuoco e, mentre gioco, mi allieto della fiamma che si riflette sulle mie gote di cera. di questo siatene certi, l’incoscienza è troppo piccola per tenermi nella sua mano spoglia e squallida. sorrido davanti al fuoco, mi lascio bruciare.

mercoledì 2 novembre 2011




Jeliza Rose prende forma...