sofferenza
come prezioso salvacondotto per un distacco dal terreno e da tutte le sue
seccanti incombenze, meritato soggiorno nella fresca caverna, dove il tempo ha
il peso della polvere e le occupazioni degli umani sono scheletri di foglie
secche morte milioni di autunni fa. attenderò l’alba, solitario come un eremita
dotato di un’anima espansa come roseo fumo refrattario ad ogni forma di odio,
tenerezze e commozioni tipicamente umane. [mentre scrivo penso che chi leggerà
queste parole forse non capirà niente, forse si chiederà di cosa parli, se sono
metafore sul mio stato d’animo o semplici parole che in questo momento mi piace
liberare come uccellini a cui spalanco la gabbietta…]. questa notte è una mia
notte. uno straccio che s’imbeve di buio e aria fresca e clandestino silenzio
che in pochi possono realmente cogliere. mi siedo sul pavimento, la testa
reclinata un poco a sinistra, all’indietro. sono una fluida statua di biancastro marmo venato di grigio e di
verde. penso alle persone che mi hanno intravisto, seppure per pochi istanti.
le mie concessioni, attimi di lucentezza, semplice, serena purezza. una mia
notte, ovviamente c’è lei, la mia splendida dama ottocentesca, la mia
tristezza. è dolce e premurosa e il suo sguardo sa di morte e di lacrime e di
dannata solitudine tormentata e romantica. finalmente il fracasso del giorno è
del tutto andato a fare in culo. ora è veramente notte. se c’è qualcuno che
ogni tanto mi pensa gli rivolgo in pensierino. adesso di nuovo caverna e
pietra, assenza di tempo e di umanità. silenzio e solitudine.
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