in molti racconti, molte
storie, c’è un amico del protagonista che rappresenta la perdizione, il vizio,
quello che nel medioevo veniva etichettato come “vivere nel peccato”, una sorta
di povero diavolo sfortunato insomma, che distoglie il protagonista dalla retta
via e lo induce a percorrere i binari della dissolutezza, lo induce a rovinare
sempre tutto quanto, come lucignolo, tanto per capirci. io quell’amico ce l’ho
dentro, fa parte di me e vive in un angolino oscuro del mio animo. il suo
dimorare in me è spesso silenzioso, sta in disparte senza disturbare ma è
pronto, di tanto in tanto, a ricordarmi che la soffice tranquillità comoda
comoda non fa per me. tenersi a distanza dalla confortante serenità comporta un
certo carico di tormento ma, diceva il filosofo “io lodo tutto ciò che
indurisce, non lodo i luoghi in cui burro e miele scorrono a fiumi”. sono una
creatura nata bruciata, lo ripeto spesso e ogni volta lo dico con un certo
sorriso un po’ dolce, un po’ amaro, un po’ non-so-cosa. la mia splendida dama
ottocentesca è nella stanza con me, ora, mi osserva e mi aspetta. tra poco mi
dedicherò solo a Lei e mi abbandonerò alla sua premura. nessuno, probabilmente,
camminerà mai al mio fianco. a parte Lei. quando penso al circo, alla necessità
di fare una vita da pagliaccio, come contraltare mi viene in mente il guardiano
di un faro sperduto in un mare di orizzonte silenzioso. in campo letterario
invece, l’immagine che mi si affaccia nella mente è quella di una specie di
guardia forestale che trascorre alcuni mesi in una torretta per l’avvistamento
di incendi, una torretta come un faro immersa in una foresta, orizzonte fatto
di montagne e bosco, un lago, daini e cerbiatti e uccelli. il protagonista vive
appieno la sua solitudine, con il suo fuoco per scaldare il cibo, la sua
ricetrasmittente attraverso la quale per un’ora al giorno entra in contatto con
i colleghi sparsi chissà dove nel territorio. tra desiderio della normale vita
sociale, galoppanti fantasie erotiche o spirituali, immagina persino delle
intere partite di baseball, le immagina fin nei dettagli, ciò che emerge è
soprattutto una meravigliosa solitudine (per la cronaca il romanzo s’intitola
“angeli di desolazione”). mmmmm basta scrivere, m'immergo nel mio orizzonte fatto del mio buio, del mio bosco...
1 commento:
...sì
S.
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