martedì 2 ottobre 2012


in molti racconti, molte storie, c’è un amico del protagonista che rappresenta la perdizione, il vizio, quello che nel medioevo veniva etichettato come “vivere nel peccato”, una sorta di povero diavolo sfortunato insomma, che distoglie il protagonista dalla retta via e lo induce a percorrere i binari della dissolutezza, lo induce a rovinare sempre tutto quanto, come lucignolo, tanto per capirci. io quell’amico ce l’ho dentro, fa parte di me e vive in un angolino oscuro del mio animo. il suo dimorare in me è spesso silenzioso, sta in disparte senza disturbare ma è pronto, di tanto in tanto, a ricordarmi che la soffice tranquillità comoda comoda non fa per me. tenersi a distanza dalla confortante serenità comporta un certo carico di tormento ma, diceva il filosofo “io lodo tutto ciò che indurisce, non lodo i luoghi in cui burro e miele scorrono a fiumi”. sono una creatura nata bruciata, lo ripeto spesso e ogni volta lo dico con un certo sorriso un po’ dolce, un po’ amaro, un po’ non-so-cosa. la mia splendida dama ottocentesca è nella stanza con me, ora, mi osserva e mi aspetta. tra poco mi dedicherò solo a Lei e mi abbandonerò alla sua premura. nessuno, probabilmente, camminerà mai al mio fianco. a parte Lei. quando penso al circo, alla necessità di fare una vita da pagliaccio, come contraltare mi viene in mente il guardiano di un faro sperduto in un mare di orizzonte silenzioso. in campo letterario invece, l’immagine che mi si affaccia nella mente è quella di una specie di guardia forestale che trascorre alcuni mesi in una torretta per l’avvistamento di incendi, una torretta come un faro immersa in una foresta, orizzonte fatto di montagne e bosco, un lago, daini e cerbiatti e uccelli. il protagonista vive appieno la sua solitudine, con il suo fuoco per scaldare il cibo, la sua ricetrasmittente attraverso la quale per un’ora al giorno entra in contatto con i colleghi sparsi chissà dove nel territorio. tra desiderio della normale vita sociale, galoppanti fantasie erotiche o spirituali, immagina persino delle intere partite di baseball, le immagina fin nei dettagli, ciò che emerge è soprattutto una meravigliosa solitudine (per la cronaca il romanzo s’intitola “angeli di desolazione”). mmmmm basta scrivere, m'immergo nel mio orizzonte fatto del mio buio, del mio bosco...

1 commento:

Anonimo ha detto...

...sì


S.