martedì 25 marzo 2014

l'una e mezza e sono appena rincasato dopo serata da pagliaccio. un tempo, quando ero un battellino giovane, le serate da pagliaccio finivano alle cinque e andavo poi direttamente al circo, travestito da uomo mediocre, mimetizzato tra persone che si erano appena svegliate dopo otto ore di sonno tranquillo domestico. ora anche nelle uscite clownesche sono un pochino battelliano, malinconico e silenzioso con stralci di socialità gettati lì in pasto per il popolo affamato di mediocrità. ora un po’ di chimica tra i globuli rossi, seduto sul pavimento davanti a questo foglio. i pochi desideri che mi nascono dentro riguardano sempre più la solitudine. un bicchiere dal cristallino e liquido contenuto rovente un tempo bell’addormentato in qualche botte di rovere. qualche candelina sparsa nella stanza. lo schermo della tv riflette il live at wembley dei queen, ascolto e riascolto continuamente in the laps of the gods. il mio tavolo sembra il tavolo da ping pong delle scene iniziali di lolita di kubrick, tanto che non lo vedo ma ricordo quel tavolo come un’immagine di un disordine sfociante in un accorato disfacimento in bianco e nero. il tavolo di un uomo giunto al capolinea (quello del film, intendo, io credo di avere ancora qualche fermata davanti a me). a proposito di disfacimento intellettuale e capolinea mentale, qualche giorno fa mi sono beato delle Baccanti euripidee, un’immersione in un bosco arcaico dove un’orda di donne invasate, prede dell’ebbrezza dionisiaca, fanno letteralmente a pezzi il signor penteo re di tebe e, a capo delle donne, c’è proprio la mamma del signor penteo che, dopo aver smembrato il figliolo, se ne torna a casa con la testa del figlio infilzata in una lancia. sapete, lo sparagmòs, il dilaniamento di un animale (o un essere umano) a mani nude per poi cibarsi della carne cruda, robe dionisiache insomma. be’, l’immersione boschiva-letterale mi è piaciuta. la città, la società, l’educazione ci tengono a debita distanza da quei boschi, quei luoghi non dobbiamo immaginarli, desiderarli, non devono nemmeno esistere, ci dicono. ma il nostro inconscio se ne infischia dei dettami sociali.

vorrei essere una rockstar e cantare sul palco, fare concerti, senza nemmeno l’ombra di una scaletta. solo sguardi d’intesa tra la band. ovviamente vorrei la voce e il talento di layne staley.

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