l'una e mezza e sono appena rincasato
dopo serata da pagliaccio. un tempo, quando ero un battellino giovane, le
serate da pagliaccio finivano alle cinque e andavo poi direttamente al circo,
travestito da uomo mediocre, mimetizzato tra persone che si erano appena svegliate
dopo otto ore di sonno tranquillo domestico. ora anche nelle uscite clownesche
sono un pochino battelliano, malinconico e silenzioso con stralci di socialità
gettati lì in pasto per il popolo affamato di mediocrità. ora un po’ di chimica
tra i globuli rossi, seduto sul pavimento davanti a questo foglio. i pochi
desideri che mi nascono dentro riguardano sempre più la solitudine. un
bicchiere dal cristallino e liquido contenuto rovente un tempo
bell’addormentato in qualche botte di rovere. qualche candelina sparsa nella
stanza. lo schermo della tv riflette il live at wembley dei queen, ascolto e
riascolto continuamente in the laps of the gods. il mio tavolo sembra il tavolo
da ping pong delle scene iniziali di lolita di kubrick, tanto che non lo vedo ma
ricordo quel tavolo come un’immagine di un disordine sfociante in un accorato
disfacimento in bianco e nero. il tavolo di un uomo giunto al capolinea (quello
del film, intendo, io credo di avere ancora qualche fermata davanti a me). a
proposito di disfacimento intellettuale e capolinea mentale, qualche giorno fa
mi sono beato delle Baccanti euripidee, un’immersione in un bosco arcaico dove
un’orda di donne invasate, prede dell’ebbrezza dionisiaca, fanno letteralmente
a pezzi il signor penteo re di tebe e, a capo delle donne, c’è proprio la mamma
del signor penteo che, dopo aver smembrato il figliolo, se ne torna a casa con
la testa del figlio infilzata in una lancia. sapete, lo sparagmòs, il dilaniamento di un animale (o un essere umano) a mani nude per poi cibarsi della carne cruda, robe dionisiache insomma. be’, l’immersione
boschiva-letterale mi è piaciuta. la città, la società, l’educazione ci tengono
a debita distanza da quei boschi, quei luoghi non dobbiamo immaginarli,
desiderarli, non devono nemmeno esistere, ci dicono. ma il nostro inconscio se
ne infischia dei dettami sociali.
vorrei essere una rockstar e cantare sul palco,
fare concerti, senza nemmeno l’ombra di una scaletta. solo sguardi d’intesa tra
la band. ovviamente vorrei la voce e il talento di layne staley.
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