mercoledì 20 maggio 2015

il mio scafo di legno screpolato segnato dal vento dall’acqua e dall’aria salmastra regge ancora il mare le sue rughe cicatrici un tempo solcate da vita e sangue e altro. il vetro della mia finestra mi separa dal mare nero del mondo. la sofferenza degli umani passa attraverso i miei occhi come vento tra le dita di una mano sollevata verso il cielo. attraverso la finestra sorrido alla condanna della solitudine timida delicata e tumultuosa la solitudine da cui mai vorrei guarire. m’inietto un po’ di buio piccola morte non è spegnere un interruttore è più un morbido soffice sprofondare un vezzo che mi concedo un’escursione nel mio bosco distante dal mondo. le risate le cretinate delle persone si affievoliscono fino a scomparire del tutto. i miei lupi ululano nel vento e sento che si avvicinano nell’antro oscuro che mi preparo come una confortevole culla in cui sogni e inquietudini scorrazzeranno liberi privi di catene. sprofondo come sprofondano i tasti di un pianoforte che suona una musica che lambisce le sponde della solitudine di una notte.

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