il mio scafo di legno screpolato segnato dal vento dall’acqua e
dall’aria salmastra regge ancora il mare le sue rughe cicatrici un tempo
solcate da vita e sangue e altro. il vetro della mia finestra mi separa dal
mare nero del mondo. la sofferenza degli umani passa attraverso i miei occhi
come vento tra le dita di una mano sollevata verso il cielo. attraverso la
finestra sorrido alla condanna della solitudine timida delicata e tumultuosa la
solitudine da cui mai vorrei guarire. m’inietto un po’ di buio piccola morte
non è spegnere un interruttore è più un morbido soffice sprofondare un vezzo
che mi concedo un’escursione nel mio bosco distante dal mondo. le risate le
cretinate delle persone si affievoliscono fino a scomparire del tutto. i miei
lupi ululano nel vento e sento che si avvicinano nell’antro oscuro che mi
preparo come una confortevole culla in cui sogni e inquietudini scorrazzeranno
liberi privi di catene. sprofondo come sprofondano i tasti di un pianoforte che
suona una musica che lambisce le sponde della solitudine di una notte.
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