mi avvicino alla finestra e vedo gente tutta uguale, i suoi sogni, se ne ha, sono così piatti. mi sento uno straniero, non smentisco chi asserisce di conoscermi.
la solitudine è un petardo esploso nel mezzo di un palazzetto desolato. piove anche se l’aria è asciutta e calda. da lontano, molto lontano, il languido suono di un’armonica . emano grigiore come un cadavere emana il suo fetore. dormo da diversi giorni, anche mentre sono in piedi e cammino. ho sciolto il cappio che mi teneva ancorato al molo, alla deriva mi lascio andare, apatico come un vascello anarchico senza equipaggio. le ballerine che allungano la mano per sfiorarmi sono ingenue sognatrici che vorrebbero toccare la luna. mi piacerebbe urlare accompagnato da un fragore di chitarre elettriche, il mio urlo direttamente dalle recondite e oscure profondità della mia caverna. intanto mi scortico la pelle contro le pareti di roccia appuntite. mi scortico e grido, avvolto dall’umidità della mia solitudine. il mio sangue scorrerà come un fiume sotterraneo, senza mai vedere la luce del sole.
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