stralci
della mia dannazione, della mia malattia, del mio inferno, come tornare ai
tempi della mia stagione, quella là, quella che nessuno può comprendere, una
primavera o un autunno elitari, un periodo assolutamente esclusivo, un dolce ed
elettrico inferno personale. come scheletri di alberi ossuti fanno parte di un
paesaggio invernale, la bellezza della mia bellissima musa dalle vene di
ghiaccio fa parte della mia stagione e degli stralci temporali ad essa
equiparabili.
poco fa: torno a casa elettrico come un
drago, sangue e veleno scorrono violenti nelle vene, dannazione a fiotti dai
miei invisibili pori, voglia di consolante calore rassicurante, di qualcosa di
confortante. metto “non ci resta che piangere” e i dialoghi di benigni-troisi
sono meravigliosi, i primi 15-20 min, prima del salto all’indietro nel tempo,
sono qualcosa di estremamente bello nella loro semplicissima schiettezza
(dritta come uno sparo, mi piace usare queste parole…). interrompo il dvd per
una dose di pearl jam. poi alice in chains, la voce di layne staley a
sottolineare la meravigliosa e introversa bellezza del mio animo. mi sento
bellissimo, ancora una volta bellissimo, dannatamente solo, incompreso e
bellissimo, non c’è spazio per gli umani e per le loro stronzate, un po’ di
spazio lo trovano solo la bellezza della mia bellissima musa dalle vene di
ghiaccio, la mia meravigliosa 14enne di cui ho parlato ieri ad una signora, la
mia jeanne personale. brucio come un tizzone dell’inferno che scotterebbe le
mani anche a satana, “ abbatterei il sole se mi offendesse”, mi vengono in
mente queste parole pronunciate dal capitano achab. sono un astro condannato a
spegnersi nel più oscuro e silenzioso dei vuoti, sono una bellezza per… … per
nessuno. sorrido, bello e solo e unico come una stella alpina sbocciata nel
cuore del deserto.
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