In età
assurdamente precoce, a sette anni, sapevo già che mai voce d’uomo mi avrebbe
raggiunto. Io sono la solitudine fatta uomo.
Parole che potrebbero far pensare ad un mostro. Ma nonostante questa
consapevolezza, durante l’infanzia, anche per via delle insistenze di mia
madre, facevo quello che facevano i miei coetanei, lunghissime camminate,
pattinate sui laghi ghiacciati, piacevoli nuotate. Le istituzioni, che si
tratti di una madre, della scuola, della religione o del governo, per il tuo
bene o per loro convenienza, si assicurano che tu sia normale. O almeno che lo
sembri. Ma se uno nasce diverso, perché mai dovrebbe sforzarsi di sembrare
qualcos’altro? Questa è una forma di violenza, uno stupro intellettuale
approvato dall’inerte società. Ed io facevo buon viso a cattivo gioco, tra
passeggiate, nuotate e pattinate riuscivo anche ad avere un’altra vita, e in
quest’altra vita mi dedicavo interamente alla lettura, alla poesia e alla
musica. Una forma di schizofrenia indotta da una società malandata che, anziché
tendere ad esaltare e formare menti brillanti, libere e uniche, tende ad
uniformare, appiattire, conformare. In questo devo ammettere che la religiosità
della mia famiglia mi è stata di conforto, il protestantesimo prevede
l’apprezzamento della musica e della poesia, per le feste religiose sciorinavo
davanti alla parentela i miei asprigni frutti poetici. Poi, ad un certo punto,
verso i dodici anni, scoprii l’autoanalisi, scoprii il piacere (e l’esigenza)
di analizzare e sondare il fondale del mio animo, e cominciai a scrivere le mie
riflessioni, spesso partivano da semplici scampagnate, da vacanze e paesaggi, e
mi portavano nel profondo del mio Io e, questa tendenza all’autoanalisi, all’esplorazione
del fondale del mio animo, non mi abbandonò più per tutta la vita. A sette anni
già sapevo che mai voce d’uomo mi avrebbe raggiunto. L’animo umano può
sopportare una simile solitudine, senza le spuntate armi di una fede religiosa,
senza l’anelito al raggiungimento di uno scopo che non esiste? Forse la
risposta risiede negli ultimi anni della mia vita, trascorsi tra manicomi e
cliniche psichiatriche.
4 commenti:
Riesci a condividere la tua solitudine, attraverso le parole in un modo meraviglioso.
questo vostro eroe..le sue parole.. entrano in me in modo profondo, molto profondo.
Nietzsche ha segnato la mia vita, mi ha folgorata anni fa e non mi ha più abbandonata.
non servono altre parole di apprezzamento. è sufficiente il silenzio.
(Du bist ein wunderbarer Ausdruck des Übermensch)
a me dicono che ci somiglio... mmm.. bòh!
(Parlate di istituzioni...e mi so viene il ricordo di questo passo di Burgess...)
“Ma, fratelli, questo mordersi le unghie dei piedi su qual è al causa della cattiveria mi fa solo venir voglia di gufare. Non si chiedono mica qual è la causa della bontà, e allora perché il contrario? Se i martini sono buoni è perché così gli piace, e io non interferirei mai coi loro gusti, e così dovrebbe essere per l’altra parte. E io patrocinavo l’altra parte. In più, la cattiveria viene dall’io, dal te o dal me e da quel che siamo, e quel che siamo è stato fatto dal vecchio Zio o Dio ed è il suo grande orgoglio e consolazione. Ma i non-io non vogliono avere il male, e cioè quelli del governo e i giudici e le scuole non possono ammettere il male perché non possono ammettere l’io. E la nostra storia moderna, fratelli, non è la storia di piccoli io coraggiosi che combattono queste grandi macchine? Parlo sul serio, fratelli, quando dico questo. Ma quello che faccio lo faccio perché mi piace farlo.”
—Anthony Burgess, Arancia Meccanica
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