mercoledì 17 ottobre 2012

Baudelaire

Dicono che in letteratura io abbia inventato la modernità. Semplicemente ho fatto quello che facevano gli artisti romantici davanti ai tramonti, i mari in tempesta, la luna, i boschi. Solo che io vivevo in città. Uno scrittore, uno scrittore che si rispetti intendo, come prima cosa “vede”, “sente”, percepisce ciò che gli sta attorno, senza fare calcoli, come quando passiamo davanti ad una bancarella di un fioraio, o ad una latrina, e sentiamo il profumo, o la puzza, senza dover fare niente, abbiamo il naso e questo ci basta per avvertire l’odore. In città sentivo ovunque l’odore dei vizi, della miseria, della povertà, della bellezza, della morte. Non ho fatto altro che tradurre queste cose, anzi scolpirle nel marmo della scrittura. Il poeta davanti alle normali incombenze della quotidianità soffre, il suo talento, la cosa per cui è nato, che gli riesce meglio, è filtrare la vita attraverso la sensibilità del suo animo, deve essere libero di sguazzare nei profondi abissi della sua solitudine. Posto in queste condizioni sarà in grado di emozionare, dipingere immagini che suscitano sensazioni, scaldano cuori, ravvivano gli animi, raggelano le vene, forgiano incubi e sogni. Il poeta è come un albatro, l’uccello dalle grandi ali che spesso sorvola le navi. Le sue grandi ali gli permettono di librarsi alto nel cielo con mirabile bellezza ma, se gli capita di cadere sul ponte di una nave, proprio quelle sue ali così grandi lo renderanno buffo e sgraziato e sarà dileggiato dagli uomini dell’equipaggio. Proprio per via delle sue grandi ali, il poeta, quando è costretto a vivere tra la gente, non può fare a meno di sentire quell’acuminato malessere romantico, quel malessere, quel morbo che mi ha reso famoso come il poeta maledetto per antonomasia. Se volete sapere delle mie inquietudini, del mio lato maledetto, vi prego, lasciatemi stare. Tuttalpiù potete rivolgervi ad una persona che ora sta qui con me. Raffinato e dotato scrittore come pochi, in quanto a maledizioni, oscurità e tenebre dell’anima nessuno è mai stato al suo livello. Non dite che vi mando io, non si sa mai come potrebbe prenderla. Ah, il suo nome è Edgar Allan Poe.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

tutti questi fuochi, iconograficamente, coloristicamente, si riflettono su una scelta coloristica dei ritratti di prevalenza rossiccia... bicromatica.. divampante, come anche tutta la pagina ha preso quella piega oro-ambrato, caldo come un tappeto persiano ma superbo e freddo come l'oro.... intimo come la foglia d'oro minutamente incisa nelle pale d'altare duecentesche collocate nella penombra delle chiese, brillante come la fede dell'osservatore.. così l'iconografia privata di marsia e così il ritratto dei suoi eroi, inno alla nobiltà spartana, alle "barocche vesti senza sfarzo"...

senzaLogica ha detto...

Charles ammetterai che ti piaceva anche bere né... i tuoi paradisi artificiali non saranno sbucati dal nulla. ehhehehehe