sospeso
a mezz’aria in equilibrio sul filo che separa voglia di spiritualità e
nichilismo allo stato puro. anche se è piena notte un raggio di luce lambisce
il mio animo, diceva il poeta “chi ha il volto privo di un raggio di luce non
diventerà mai stella”. dopo seratina da pagliaccio in birreria eccomi ora
dentro un sottomarino monoposto negli oscuri abissi privi di chiacchiericcio
futile come un talkshow pomeridiano televisivo. profumo di lavanda misto a fumo
di sigaretta nell’aria, candeline sparse come gocce di fuoco in un cimitero
visto dall’alto. sono un trasandato bluesman che girovaga per la notte tra le
strade battute dalla pioggia, con in mente le luminose e spirituali follie dei
santi che con l’accetta della loro convinzione mentale affettavano i normali
crismi socialmente accettati dalle masse. sono bello chiuso nel mio
inaccessibile sommergibile a 2000 leghe sotto i mari. potrei esplodere
lanciarmi a pazzesca velocità contro un qualsiasi inanimato obiettivo privo di
colore e interesse. brillerei come un diamante perduto nei fondali oscuri
dell’umana condizione. sorrido e in qualche modo esplodo. e amen.
mercoledì 27 novembre 2013
giovedì 21 novembre 2013
l'ultima volta che mi sono suicidato
un altro dei miei
eroi, neal cassady, scrittore e amico di jack kerouac che lo immortalò nel
libro on the road, il protagonista del romanzo, infatti, dean moriarty, è
ritagliato sulla figura di neal. nato mentre i genitori erano in viaggio per
gli stati uniti, passò l’infanzia col padre inaffidabile e alcolizzato e la
malattia del non stare mai fermo non lo lasciò mai. non poteva morire in un
modo e in un posto più adatto alla sua indole: dopo i bagordi di una festa di
matrimonio, imbottito di alcol e droghe, s’incamminò da solo, a piedi, lungo i
binari della ferrovia e qui svenne (fu rinvenuto in stato comatoso, portato in
ospedale dove morì… ma per me morì lungo quei binari, da solo, mentre camminava
“sino al termine della notte”, così è molto meglio, perfetto direi).![]() |
| neal, nel film |
![]() |
| la bellissimissima claire forlani |
una cosa buona che fece il padre per lui fu
quella di iscriverlo in una buona scuola, a sei anni. visto che per iscriversi
in quella scuola bisognava essere residenti nel quartiere dove appunto c’era la
scuola, il padre bluffò dichiarando che il bimbo risiedeva all’indirizzo della
madre, mentre in realtà vivevano, lui e il bimbo, in un palazzone pericolante
adibito a specie di hotel per barboni e poveracci vari. quindi, per recarsi a
scuola, il bimbo tutte le mattine, dopo essersi svegliato da solo mentre il
padre alcolizzato ronfava alla grande, doveva camminare per chilometri e
chilometri perché non aveva nemmeno i soldi per il tram. e quel lungo tragitto
quotidiano lo viveva con una meravigliosa spensieratezza infantile,
accompagnato perennemente dalla sua pallina da tennis che faceva continuamente
rimbalzare mentre camminava e notava il mondo, con l’acutezza di un bambino e
l’acume di uno scrittore. uno stralcio della sua vita è raccontato in un film
che mi piace tanto, “l’ultima volta che mi sono suicidato”, basato su una lunga
lettera che neal scrisse al suo amico jack kerouac. film recente, è del 1997,
girato in bianco e nero e accompagnato da un immancabile jazz anni ’50. mi
piace un sacco e grazie ad internet sono riuscito a recuperarlo e a rivederlo. il film racconta di due ragazzi innamorati che giunsero ad un soffio dal "vissero felici e contenti" e di come tutto poi andò a puttane. visione caldamente consigliata. ah, nel film c’è una claire forlani
bellissimissima. (ok, per voi donne c’è anche keanu reeves).p.s.
mi sono dimenticato alcune cose che potrebbero sembrare irrilevanti ma per me sono fondamentali:quando è morto e si è incamminato lungo i binari aveva con sè un paio di jeans e una t-shirt e basta (probabilmente anche il freddo avrà fatto la sua parte). di notte neal cassady parlava ininterrottamente, un vero fiume in piena di parole. e sapeva scrivere. scrivere bene. per saper scrivere bisogna saper vedere, sentire le cose e le persone. per le altre mille cose che ho dimenticato pazienza.
p.s. II
quant'è bella la voce narrante, quella di neal cassady, che pronuncia l'ultima frase del film:"così è la vita... così è l'amore... ...e così sono io!"
[l’ultima volta che mi sono suicidato, regia
di stephen kay, usa 1997]
venerdì 15 novembre 2013
il
mondo è pieno di macchine un giorno la tecnologia ucciderà il mondo chissà chi
l’ha detto chissà dove cazzo l’ho letto boh. un giorno pensare col proprio
cervello vedere le cose attraverso il proprio cervello suonerà strano poi sarà
persino sospetto fino a diventare reato. quel giorno grazie a dio sarò morto e
sepolto e dimenticato. e potrò chiacchierare con i miei eroi. fino ad allora
trucco e cerone e nasino rosso e quelle cose lì. faccio due passi bevo un amaro
scuro perché l’amaro non può permettersi di essere arcobaleno faccio due passi
e mi concedo persino la vicinanza di una donna al mio fianco una donna che non
mi disturbi non m’infastidisca. tutto quanto dentro la mia testa s’intende il mio
culo poggia spensierato sul freddo del pavimento. sono solo nella mia stanza
sorseggio un amaro fatto dal sottoscritto esattamente dieci anni fa l’etichetta
adesiva dice “aiace 2003”, periodo iliadico immagino, ricordo usai per l’infuso
tarassaco alloro genziana verbena carciofo luppolo ginepro e chissà cos’altro.
la bottiglia dentro l’armadio riposava al buio indisturbata fino a poco fa. ora
il mio volto e il mio corpo sono decisamente in bianco e nero barbetta lunga e
splendida magrezza oltremondana. l’unplugged di clapton nell’aria della mia
stanza. comincia ad approssimarsi il periodo della felicità quello con mille
lucine di plastica colorate palpitanti finte come piccole uova commerciali
deposte dal ventre di las vegas. sogno una vicina di casa che suoni alla mia
porta e mi porti in dono i biscottini di buon augurio per l’anno nuovo eheheh…
domenica 10 novembre 2013
martedì 5 novembre 2013
chet baker nella mia stanza. come una candela che
si scioglie lentamente ma che resta viva e fa sentire la sua luce. chet baker
nella mia stanza. ad una certa ora si suol dire che la notte è giovane ma a me
piace pensare che la notte abbia ora un’età matura, sia nel fiore della sua
età. come una donna ricca di fascino, fascino dovuto alle sofferenze, alle
difficoltà accumulatesi sulla sua pelle. come diceva la scrittrice “le
sofferenze accelerano l’intelligenza, gli agi e le comodità la rallentano”.
sorseggio un buon whisky condividendolo con questa notte (mmm si chiama cardhu
e ha dodici anni ma, per la gioia, credo, della mia 14enne, il mio preferito
resta sempre il laphroaig). sorrido al pensiero che questo whisky dodicenne è
quasi coetaneo della 14enne. appena rincasato dopo un doppio tagliere di salumi
e formaggi e una bottiglia di rosso. seratina da pagliaccio, ora via il trucco
e un goccio di buon whisky in solitudine con chet baker nella mia stanza.
un’altra giornata che sta morendo, anche questa è fatta, “anche questa
l’abbiamo imbrogliata” diceva la mia nonna, almeno così mi raccontava la mia
mamma quando mia nonna sparecchiava la tavola, intendeva, credo, che anche per
quella volta erano riusciti a sfamarsi, a cavarsela. le sofferenze che
accelerano l’intelligenza. a parte i bambini che muoiono di fame in africa
credo di essere l’individuo meno viziato del pianeta e questo fa di me
l’individuo più intelligente del pianeta. a parte i bambini africani. non ho
voglia di mettermi a letto, voglio vomitare queste parole. parole forse
sciocche ma le ho dentro e non mi va di farle fermentare nella mia botte. basta
col trucco, basta con le cazzate. ho voglia di stare seduto sul pavimento
davanti ad una tastiera con la “t” che si è staccata e che stamani ho
riattaccato con l’attack e ogni volta che devo scrivere quella lettera devo
premere come un indiavolato e una volta su due nemmeno compare, quella lettera.
prima o poi mi comprerò un pc nuovo, credo. mmmm in questo momento mi adoro più
che mai, vado a coccolarmi, mi autoabbraccio, mi amo, mi bacio, mi scaldo. il
mio equatore interiore. come stare in africa. stanotte una notte del cazzo, una
notte africana. mi amo. bye.
venerdì 1 novembre 2013



frullate assieme 1984 di orwell, un kafkiano inferno burocratico, la foga di lottare per la libertà della fallaci, la visionarietà di una mente sognatrice in un mondo di catene, la superficialità del consumismo e della chirurgia plastica dilaganti, prendete a secchiate il mondo con il composto ottenuto e otterrete Brazil. al pari di fuga di mezzanotte è un film che mi terrorizza a morte. c’è il terribile regime liberticida di V per vendetta, quello che incappuccia e sequestra e interroga e tortura i cittadini ma qui è più spaventoso e il motivetto da samba che caratterizza tutto il film, con la sua spensieratezza colorata e senza peso non fa che mettere in evidenza il terrore. c’è un nazismo postmoderno che, così come quello del secolo scorso, si è radicato subdolamente nella società, nella vita, nella quotidianità, rendendo normale e consueta l’assenza di libertà. è proprio questo che mi terrorizza e mi spaventa a morte. una delle più belle dichiarazioni di libertà della cinematografia che io ricordi la esprime il simpatico ribelle-terrorista robert de niro: “grazie ai vostri metodi, quelli che voi accettate, tra poco non si potrà aprire il rubinetto dell’acqua senza compilare un modulo 24/b2. il modo di lottare contro il sistema del ribelle de niro mi ricorda un po' i miei rotoli di carta igienica eheheh. bellissimo film, forse un po’ troppo lungo ma comunque notevole.
[brazil, di terry gilliam, 1985]
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