mi sento un viandante nella notte nel bianco del
mio pavimento. una morbida creatura fatta d’ombra che per istinto cammina e
cammina scansando il gregge di umani privo di alcuna raffinatezza mentale. un
ammalato che percorre improbabili
strade distanti dal sonno. le belle notti sono strade che portano al
suicidio percorse a metà. gli interrogativi scompaiono sommersi dai passi senza
meta. distanze lentamente percorse come discorsi impolverati da millenni di
oniriche novelle dalla spina dorsale colorata. una notte come questa è un
vizioso patrimonio da santificare. cammino passeggio nel vetro del bicchiere
come sanguinante vino invecchiato. un lampione è un’ulcera nello scuro della
città di materno cemento boschivo. un lampione è uno sgabello abbandonato in un
angolo ricoperto da foglie di tabacco e narici gravide di libellule estatiche.
cammino passeggio in questa mia notte dalla carne floreale e dalle labbra come
dame ironiche ed eterne. nelle mie orecchie sbudellate le parole bagnate da una
luna imbottita di stracci. assorbo l’ebbrezza del mondo dormiente. l’esigenza
di camminare ha una delicatezza dolorosa e crepuscolare.
sabato 30 maggio 2015
lunedì 25 maggio 2015
sono adolescente quando mi graffio fino a
sanguinare facendomi male fottendomene del mondo degli umani fregandomene di
tutto ciò che resta fuori tutto ciò che non sono Io. la stessa sfrenatezza
adolescenziale che ti porta a credere di essere invincibile quasi immortale.
dovrei essere più oculato ma conservo un lato di quella intemperanza
adolescenziale. quando morirò la mia adolescenza non sarà del tutto morta. nei
miei occhi nelle mie pupille le guardo ora allo specchio nei miei occhi suona
un capriccio di paganini. nere cosmiche fredde scintille gelide e morbose
squilibrate allucinate. chissà cosa vedono gli uomini orrendi quando si
specchiano. un oggetto raro un bambino solo un vuoto rivestito di pelle umana
boh.
mercoledì 20 maggio 2015
il mio scafo di legno screpolato segnato dal vento dall’acqua e
dall’aria salmastra regge ancora il mare le sue rughe cicatrici un tempo
solcate da vita e sangue e altro. il vetro della mia finestra mi separa dal
mare nero del mondo. la sofferenza degli umani passa attraverso i miei occhi
come vento tra le dita di una mano sollevata verso il cielo. attraverso la
finestra sorrido alla condanna della solitudine timida delicata e tumultuosa la
solitudine da cui mai vorrei guarire. m’inietto un po’ di buio piccola morte
non è spegnere un interruttore è più un morbido soffice sprofondare un vezzo
che mi concedo un’escursione nel mio bosco distante dal mondo. le risate le
cretinate delle persone si affievoliscono fino a scomparire del tutto. i miei
lupi ululano nel vento e sento che si avvicinano nell’antro oscuro che mi
preparo come una confortevole culla in cui sogni e inquietudini scorrazzeranno
liberi privi di catene. sprofondo come sprofondano i tasti di un pianoforte che
suona una musica che lambisce le sponde della solitudine di una notte.
venerdì 15 maggio 2015
la luna è una lontana moneta coniata dal mio sguardo priva
d’impronte di stupidi polpastrelli senza pensieri. al posto di quelle di stupidi
polpastrelli ci sono impronte di lacrime versate in secoli di sguardi assenti
più silenziosi del volo di un pipistrello.
disteso nell’erba del bianco del mio pavimento sono un
pagliaccio completamente struccato il circo è ora un nero frammento che sussurra
solamente “non esisto”. sono un pesce fuori dal suo acquario. 17. mi piace ora
scrivere questo numero 17. i miei lupi inquieti rovistano nel sottobosco
attendono il cuore della notte per avvicinarsi al mio letto per accostare i
loro denti voraci alle mie ossa da pavone scolorito. la mia anima chiude la sua
porta di pietra. e comincia ad assaporare i sogni su cui inciamperà. adoro
inciampare imbranato sui miei sogni sconnessi. deliziosi profondi cuscini
immaginari attutiscono le mie cadute ricche di memorie. stanotte mi
addormenterò sul ciglio del burrone. le mie palpebre si allagheranno di fiamme
non spente dalle mie lacrime assenti.
mercoledì 13 maggio 2015
affondo sprofondo nel silenzio, nei parchi i bambini ridono,
nelle città gli adulti non piangono. la vaporosa leggerezza della banalità
adorna corpi privi di un fascino musicale. la mia intelligenza rifiuta calcoli
e misurazioni. la mia intelligenza vuole una culla per crogiolarsi in un
silenzio tragico e vitale. su una tela di ragno tesserò i miei sogni bianchi
striati di pazzia.
domenica 10 maggio 2015
il tempo cola goccia dopo goccia dopo goccia
mentre immobile seduto sul pavimento fisso il niente che mi circonda cercando
di pensare guardare il baratro che si apre dentro le mie ferite. sabbie mobili
una voragine una clessidra nel fondo della quale in uno specchio mi specchio.
io. ricordo che qualche tempo fa scribacchiando non mi veniva in mente la
parola ossidiana la pietra nera e lucente. il riflesso dello specchio è una
fredda e nera lucentezza una luce che vive in certi occhi certe pupille che
riflettono cosmiche profondità silenziose come appuntite formazioni di ghiaccio
in qualche sperduta caverna antartica.
bevo un mediocre porto dal colore indubitabilmente
rosso sangue e mi viene in mente un episodio della battaglia navale di
trafalgar, episodio in cui m’imbattei leggendo tempo fa una poesia del buon
jorge luis borges. battaglia navale ottocentesca tra inglesi e franco-spagnoli.
l’ammiraglio Nelson fu ferito ad un polmone ma restò in vita sino ad apprendere
della vittoria inglese. ferito a morte, l’ammiraglio, per non demoralizzare i
suoi uomini, indossò una camicia color rosso sangue per nascondere la ferita.
bevo un mediocre porto color rosso sangue. coloro il mio sangue per, giusto per
citare ancora il buon borges, sprofondare nelle profonde e buie acque del
sonno.
martedì 5 maggio 2015
quando
guardo il pubblico pagante al circo. quando guardo le persone. quando guardo
tutti. dio che dilagante esuberante straripante apatia mi assale. una specie di
dimesso e spontaneo senso di superiorità. nei confronti di tutti. totale
assenza di voler condividere anche una sola parola. un’anima la mia da
metropoli in orario di punta. pieno e puro deserto di passioni. solo in piena
notte lascio galoppare la mia mente dai larghi fianchi. il mio vizio preferito
forse il silenzio. mi piace possederlo allontanandomi da tutto il resto
avvicinandomi a me. le mie ossa attaccate al mio pallore e lo sguardo inquieto
e allucinato. la mia vera passione è l’assenza di passione.
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