docili,
mansueti i miei lupi stanotte. la mia carne si adegua e diventa una soffice
preda quasi sbadata. non leggo da cent’anni, aspetto che mi venga fame per
gustare ogni morso. nella mente di tutti la solitudine è solo un ripiego,
un’imposizione del destino, dire che è una scelta è semplice ipocrisia. essere
ipocriti con se stessi è pugnalarsi a morte, il più spregevole dei suicidi.
sabato 30 giugno 2012
giovedì 28 giugno 2012
adoro i tramonti che
baciano i tetti di certe città. una parte della loro bellezza è dentro di me.
tutto diventa di un arancione così caldo e poco metallico… è come viverli in
bilico, immersi e perduti nel mare,
distante anni luce dalle coste. la nave è stata colpita, l’albero maestro
abbattuto, l’incendio divampa, bisogna saltare, abbandonare l’imbarcazione.
resto per ultimo, a godermi quell’istante, un deserto di legno, un rogo di
devastazione, nuvole di fumo che salgono scure e pesanti, senza soste. salto in
groppa ad un tuono e sparisco, con poche gocce rosse ad un angolo della bocca.
rifiuterei ogni letto del mondo per starmene a mezz’aria, divento amabile e
dolciastro come un affresco, quasi potrei parlare d’amore se solo esistesse un
amore lungo quanto un racconto, rigetto il potere perché non riuscirei a volare
con una pietra al collo, faccio l’amore distillando nuvole, fiori, lacrime e
arbusti invecchiati e screpolati dall’aria del mare quando giunge il tramonto.
una fontana dagli occhi grandi e labbra che promettono l’illusione di un
paradiso che è un balcone senza fiori, martellate e sudori e ricordi di
battaglie, alla mia spada manca il sangue, al mio volto manca la speranza di un
dio che non conosce dolore, ho attraversato la peste, sconfitto il pudore.
cammino sulla ciottolata reminiscenza della mia semioscura e boschiva
adolescenza, fraseggi di rock, blues e solitudini stellate, sferzanti sorrisi
isolati, adorabili, affilate coltellate, mi adoro, mi bacio…
lunedì 25 giugno 2012
oramai i soli alberi da
frutto che vedo sono ai margini dei marciapiedi di cemento, con i frutti
dimenticati che lentamente muoiono schiantandosi sull’asfalto caldo d’estate.
una delle
più grandi fortune della mia vita è stata quella di poter crescere in spazi
aperti, spazi liberi con alberi e frutta selvatica. ricordi radicati nelle
vene. senza bisogno di parole ho condiviso con la mia bellissima musa dalle
vene di ghiaccio quelle sensazioni, sebbene in anni più recenti. a parte i miei
amici adolescenziali nessuna delle persone che mi circondano ha un rapporto con
l’acqua, la terra, il fuoco ed i boschi così come io lo intendo. le persone che
ora mi attorniano sono tipi da barbecue in cortile, io conservo dentro di me i
fuochi e le notti dal sapore antico, quasi pagano. il fanciullino pascoliano
che vive in me ha sempre i piedi nudi e la rustichezza campestre di un ulivo
secolare.
giovedì 21 giugno 2012
prenderei a calci il mondo per puro capriccio
ma non ne ho voglia. leonard
cohen-un-serpente-un-falco-e-uno-scorpione-deserto-flash-di-bianco-e-nero-poi-visionarietà-folle-rossa-e-distorta-rock-n-roll-nigger-di-patti-smith.
intro di natural born killers.
la luce del giorno è andata da qualche
altra parte. rifletto sulla solitudine. voi avete mai viaggiato da soli? ci
vuole forza e coraggio ma, una volta oltrepassata la soglia, si scopre un
universo di pura e meravigliosa individualità. la ricerca di luoghi e
sensazioni, le sensazioni stesse non potranno mai essere uguali per due
persone. condividere sensazioni significa spuntare, smussare le nostre stesse
sensazioni. al posto del viaggiare credo possa starci anche il vivere. non
amare nessuno significa che mai nessuno di cui t’importa morirà. e a nessuno
importerà quando sarai tu a morire. la solitudine come passaporto per
raggiungere l’immortalità. o la diafanità sociale. che è la riva opposta
all’ipocrisia dell’uomo moderno.
lunedì 18 giugno 2012
diversi modi di sognare
sogno di vagare
libero, povero e perduto come un misero cantante della più dannata e addolorata
musica del diavolo. destreggiarsi sull’increspata superficie del tempo, jeans e
maglietta e una voce rugosa, profonda e graffiante, cavernosa e irriverente
come una satanica risata scellerata. lo sguardo compiaciuto e sudato, pensieri
pagani e sorrisi latenti nei confronti dei mille pagliacci dagli anemici volti
appiattiti e plasmati da mille desideri preconfezionati. cantare, vagare e
sorridere insolente fino al giorno della mia morte, sempre imminente. c’è chi
sogna “la vita-un lavoro-la
carriera-un-televisore-a-schermo-gigante-auto-nuova-un-comodo-divano-su-cui-sedersi-e-spappolarsi-il-cervello…”….
… e chi no.
venerdì 15 giugno 2012
music for the masses
le
mie cuffie nuove, che con l’mp3 si erano rivelate alquanto deludenti, con un
classico lettore cd si riabilitano divenendo perlomeno dignitose. ascolto music
for the masses dei depeche mode. un ricordo emerge dalla mia adolescenza: ero
un battellino forse 14enne, un ragazzo di cinque o sei anni più di me mi fece
ascoltare l’album in questione, rigorosamente in vinile. dopo due tre giorni andai a casa di quel ragazzo, che
conoscevo appena, per chiedergli di prestarmi quel vinile che mi aveva colpito
così tanto. ora quel ragazzo è morto, morto da un bel pezzo, da diversi anni.
così, un piccolo ricordo adolescenziale. l’inizio è affidato a never let me
down again, grandissima canzone. con strangelove le cuffie si esaltano poi to
have and to hold, maestosa come una cattedrale gotica con tanto di colorate
vetrate elettroniche. che cantante dave gahan! voi beccatevi pure valerio scanu
& co…
martedì 12 giugno 2012
immaginaria passeggiata
venerdì 8 giugno 2012
Sono un inerte miraggio
incastonato nel cemento e nel vetro dell’appartamento cittadino al dodicesimo
piano, sono un bellissimo corpo freddo, sospeso a cinquanta metri da terra,
sono una stella bianca, un esule senza sangue nelle vene, una perversa
bambolina senza gadgets o amichetti, sono fredda, pallida, inerme sul pavimento,
inattaccabile nel mio isolamento squilibrato, sono un pallido corpo freddo
privo di sangue, lunghi capelli neri sulle spalle, uno sguardo che fissa cose
senza vedere niente. Ho voglia di ibernarmi pacificamente, congelare del tutto
i miei pensieri e le mie splendide angosce, diventare la vostra bella Cry
addormentata nel suo fottuto monolocale al dodicesimo. Da due giorni niente
cibo, solo tre o quattro bottiglie d’acqua con disciolte chimiche polveri dagli
effetti ripulenti, spossanti, annichilenti: lassativi, diuretici,
antidepressivi, ansiolitici, antipsicotici. Chimiche pozioni per una sacra e
maledetta sacerdotessa diciannovenne del ventunesimo secolo. Nessuno può
amarmi, vedermi, ascoltarmi, sono dolcemente crocifissa nella solitaria
riservatezza del mio mondo, i miei chiodi sono fatti di un’innaturale apatia
che mi salvaguarda dalle stronzatine che sfavillano cinquanta metri più sotto.
Mi tocco e mi sento umida, bacio il mio indice, lo succhio sorridendo, sorrido
come una pupa intrisa della sua stessa follia, sorrido mentre canta
Courtney-cara, sorrido mentre trangugio una megasorsata di jack, sorrido bella
e gelida come un fiore di ghiaccio dai lunghi capelli neri.
mercoledì 6 giugno 2012
anabasi dei guerrieri della notte
mi coccolo restando
a letto fino a mezzogiorno, lasciando spento il telefono, ignorando il
citofono, guardando un film in totale solitudine. la scelta cade su “i
guerrieri della notte”, la storia di una banda newyorkese che combatte tutta la
notte per rientrare nel suo territorio. lungo la ritirata verso coney island i
guerrieri devono affrontare diverse bande e non mancheranno le occasioni per
dar prova del loro coraggio, della loro fierezza battagliera, della loro
dignità di veri e propri moderni e urbani guerrieri.
mi ha sempre
ammaliato il pensiero di questo film inteso come una moderna rivisitazione
dell’anabasi di senofonte. l’anabasi, ovvero la ritirata, narra la storia di
diecimila mercenari greci che vengono sconfitti durante una spedizione nel
cuore dell’impero persiano. i diecimila greci si trovano senza capi, lontani
dalla patria, circondati da popolazioni nemiche. dovranno aprirsi la via per il
ritorno in patria, tra mille difficoltà e sofferenze.
[ i guerrieri della
notte, di walter hill, 1979; senofonte, anabasi]
martedì 5 giugno 2012
certe
volte, quando mi sento particolarmente solo, anziché pescare nel mazzo tra la
folla mi piace esacerbare la solitudine, chiudere i battenti, rinchiudermi in
un’immaginaria stanza insonorizzata, far esplodere il silenzio, aggiungere
benzina al fuoco, un asettico, astratto, ma non per questo incruento modo di
graffiarmi. azzerare tutto quanto, fare tabula rasa del mondo intero, anche se
solo per uno o due giorni. in questo modo uccido le persone che mi circondano,
creo un energico buco nero da cui mi lascio inghiottire, come saltare giù da un
ponte, anche se solo per uno o due giorni. dopotutto, citando il poeta, non c’è
gusto a tenere accesa la candela in pieno sole.
sabato 2 giugno 2012
stralci
della mia dannazione, della mia malattia, del mio inferno, come tornare ai
tempi della mia stagione, quella là, quella che nessuno può comprendere, una
primavera o un autunno elitari, un periodo assolutamente esclusivo, un dolce ed
elettrico inferno personale. come scheletri di alberi ossuti fanno parte di un
paesaggio invernale, la bellezza della mia bellissima musa dalle vene di
ghiaccio fa parte della mia stagione e degli stralci temporali ad essa
equiparabili.
poco fa: torno a casa elettrico come un
drago, sangue e veleno scorrono violenti nelle vene, dannazione a fiotti dai
miei invisibili pori, voglia di consolante calore rassicurante, di qualcosa di
confortante. metto “non ci resta che piangere” e i dialoghi di benigni-troisi
sono meravigliosi, i primi 15-20 min, prima del salto all’indietro nel tempo,
sono qualcosa di estremamente bello nella loro semplicissima schiettezza
(dritta come uno sparo, mi piace usare queste parole…). interrompo il dvd per
una dose di pearl jam. poi alice in chains, la voce di layne staley a
sottolineare la meravigliosa e introversa bellezza del mio animo. mi sento
bellissimo, ancora una volta bellissimo, dannatamente solo, incompreso e
bellissimo, non c’è spazio per gli umani e per le loro stronzate, un po’ di
spazio lo trovano solo la bellezza della mia bellissima musa dalle vene di
ghiaccio, la mia meravigliosa 14enne di cui ho parlato ieri ad una signora, la
mia jeanne personale. brucio come un tizzone dell’inferno che scotterebbe le
mani anche a satana, “ abbatterei il sole se mi offendesse”, mi vengono in
mente queste parole pronunciate dal capitano achab. sono un astro condannato a
spegnersi nel più oscuro e silenzioso dei vuoti, sono una bellezza per… … per
nessuno. sorrido, bello e solo e unico come una stella alpina sbocciata nel
cuore del deserto.
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