sabato 31 maggio 2008

un vuoto...

…scrivere come se piangessi… parole come lacrime, parole senza nome, fissare il vuoto e ….. e formulare parole che sono …. non so…. questo è un vuoto che….. un vuoto che prende forma…

giovedì 22 maggio 2008

Cry




Direttamente dalla bottiglia irish whiskey. Vostra Cry solitaria nel suo empireo monolocale al dodicesimo. Vostra Cry solitaria come l’albatro di Baudelaire, “il re dell’azzurro che abita la tempesta e ride dell’arciere ma, esule sulla terra, al centro degli scherni, per le ali da gigante non riesce a camminare”. Io sono un’inarrivabile e suprema regina dell’azzurro e voi tutti dei rudi e sgarbati marinai insolenti, emananti un tanfo di sudore misto a rum. Ascolto in repeat, da un sacco di tempo, sailing di Rod Steward, la sua voce è nata per consolare anime tristi e solitarie, cuori graffiati e abbattuti. Sto volando come un uccello attraverso il cielo, sto volando oltrepassando alte nuvole per essere libera…
Sono in autoesilio dal vostro mondo, il mio animo aristocratico vive in un sogno e vede tutto dall’alto, dall’alto vede voi tutti che dormite pensando di vivere. Non mi lamento del vostro mondo, mi limito ad osservarlo tristemente dall’alto.

lunedì 12 maggio 2008

Bentornata

Bentornata tristezza! Come essere innamorati, peccato non ci sia nessuno accanto, un dolce torpore da condividere con la propria solitudine. Sono triste ma non sto male, sono stato senz’altro peggio “non mi spaventa la luce e nel buio ci sono finito troppe volte” tanto per fare una cosa che adoro, autocitarmi, ehehehheheeh…

sabato 10 maggio 2008

incrinature,freddezze,fragilità...

Osservo soddisfatto la rifiorita bellezza della mia splendida corazza di cristallo che, ultimamente, aveva mostrato qualche piccola incrinatura. La osservo compiaciuto e assaporo la dolce freddezza che mi trasmette, la mia lama che mi permette di non sanguinare. Quelle incrinature, incalzate da una sensibilità fuori dal comune, rischiavano di tramutare la mia adorata freddezza in fragilità. Una fragilità che può far molto male e, in effetti, mi stava facendo molto male…

giovedì 8 maggio 2008

appunti sparsi,foglietti stropicciati...

I
Ovviamente non so perché sono qui. Se lo sapessi sarei Dio. E non lo sono. O se lo sono nessuno me l’ha detto. Sono una persona piccola piccola seduta sul muretto che delimita il mondo, con, alle spalle, l’umanità tutta intera e, davanti, l’ignoto così grande che mi fa sentire così piccolo ma, non per questo, poco prezioso. E’ da questa postazione che spesso mi fermo a riflettere, con davanti agli occhi un infinito silenzio, una quiete sovrumana. Un silenzio e una quiete sconosciuti all’umanità. E mi perdo con lo sguardo, l’animo e il pensiero, mentre volgo le spalle all’umanità intera. Certo dopo un tempo non stimabile qualche schiamazzo o una buona dose di confusione o qualche bassa necessità terrena mi ricordano che non distante dalla mia schiena c’è un mare di grigiore in attesa di fagocitarmi. E, ahimé, devo rituffarmi nel piccolissimo mare grigiastro, tra tutte le vostre esistenze di zombies anestetizzati. Già. Sino alla prossima evasione. Sino alla prossima volta in cui libererò l’animo e lo sguardo nell’infinito.


II
Spiaggia,steso col naso all’insù. Per un attimo una nuvola si frappone fra me e il sole consentendomi di aprire gli occhi. Mi si apre il sipario, cielo terso d’un turchese cristallino che sfuma a tratti sul bianco, a tratti sul grigio chiaro.
Immagino la mia ascensione, il cielo mi chiama e comincio a salire, come richiamato da un’esalazione divina, il mio corpo, disteso supino, fluttua e questa scena annulla ogni cosa nel raggio di chilometri.
Continuo a salire, lento e sinuoso, senza peso, composto, con solenne immobilità, richiamato, bramato, inalato dall’azzurro che è il colore della volontà di Dio.
Non so quanto tempo sia trascorso per voi rimasti laggiù.
Il sole ricompare e devo chiudere gli occhi. Giù il sipario. La mia ascensione si interrompe. Tra l’indifferenza di tutti.

domenica 4 maggio 2008

viaggio astrale


Dopo una, forse due ore di ricerca, scandagliando con la mente la superficie intera del globo, la mia scelta è caduta sull’Islanda, l’isola del ghiaccio e del fuoco, dell’acqua purissima che scorre su incontaminati corsi d’acqua, che compiendo impressionanti balzi dà luogo a splendide cascate, che viene vaporizzata e schizza verso il cielo terso nei numerosi geyser.
Seduta sul pavimento, davanti al mio mappamondo e sotto lo sguardo taciturno di bullet, dopo aver sorseggiato una camomilla in cui erano disciolte numerose benzodiazepiniche goccioline, osservo quella terra adagiata nel mezzo dell’oceano atlantico, osservo il mappamondo e lascio che i pensieri facciano quello che vogliono. Quando comincio a sentire un lieve torpore che scende lieve su di me, come bruma di notte, mi stendo sul letto attorniata da totale silenzio e lascio che la sonnolenza mi si adagi sopra come un’intima coperta delicata. Chiudo gli occhi e ascolto solo la sonnolenza che mi percorre come fa l’acqua del mare sulla battigia, ritmicamente, piacevolmente. Quando sento la mente allontanarsi in silenzio dal vostro mondo, come una zattera sospinta da un soffio delicato, decido che è giunto il momento per staccarmi dal mio corpo. Comincio a fluttuare nell’aria, do un’occhiata al mio corpo steso sul letto, il viso sereno come quello della Madonna del cardellino di Raffaello, e leggerissima evaporo oltre il soffitto, mi ritrovo nel cielo a svolazzare come una nuvola. D’un tratto il mio letto, il monolocale, la città sono impalpabili ricordi e sotto di me solo la grande distesa del mare, acqua azzurra e niente più, acqua azzurra e niente più. Anche il tempo è solo un ricordo impalpabile, sento un’arietta fresca e frizzante che mi accarezza tutta quanta e, sotto, solo un’immensa distesa d’acqua, sotto l’oceano ed io libera e leggera come un gabbiano.
Come avviene nei sogni mi rendo conto che la terra che vedo è l’Islanda, continuo a sorvolare l’Isola fino a quando, nella regione settentrionale, tra una miriade di stabilimenti per la lavorazione del pesce scorgo la città di Akureyri, la città del sole di mezzanotte. Sono vicina alla mia meta e già assaporo lo splendore che mi attende, un sottile brivido d’eccitazione mi scorre a fior di pelle come una piacevole mini scossa elettrica, una sensazione che nel mondo concreto penso di non aver mai provato. Eccomi giunta nel luogo dove potrò vivere uno stralcio di vera e incorrotta felicità. Ci sono pochi turisti sparsi come formichine nella vastità dello spazio circostante, tutt’attorno verdi colline abbracciate l’una con l’altra come un’immensa squadra di rugby a consulto e sopra un cielo che a parole è difficile da descrivere, un azzurro spettacolo che lascia senza fiato. C’è solo il suono della natura, il silenzio del cielo, dell’aria fresca e pulita, lo sguardo muto delle colline verdi e implacabili e, su tutto, l’imponente ma armonioso scroscio dell’acqua. Vostra Cry in un paradisiaco angolino della Godafoss, la cascata degli dèi. Mi siedo tra le rocce e mi perdo in contemplazione, osservando la cascata e, credetemi, il vostro mondo non è mai stato così distante...

sabato 3 maggio 2008

Cry






...Senia e Lara, le uniche mie amiche. Poi, vabbè, c’è Micky, ma lei è un’altra cosa. Senia ha 23 anni, uno e settanta, cinquantottoeseicento, lunghi capelli color miele che scendono ai due lati lasciando intravedere al centro un’impercettibile righina di separazione, il viso leggermente troppo rotondeggiante, gli occhi molto grandi, d’un verde chiaro e cristallino, dalla forma lievemente a mandorla, sopracciglia sottili dello stesso colore dei capelli, nasino delicato e pressoché perfetto, labbra, appena più larghe e carnose della norma, discretamente sensuali ma che non concedono niente alla volgarità. Fa la commessa in una profumeria del centro e, come dice lei, si trova in procinto di balzare dalla parte del mondo adulto ma, per sua stessa definizione, è un perenne camminare in quella linea di confine, e di fare quel balzo, per ora, non se ne parla. Lara ha diciotto anni, uno e sessantacinque, cinquantunoequattrocento, capelli neri, lunghi e mossi da grossi ricci, viso piccolino su cui si stagliano degli occhi leggermente grandi, considerate le proporzioni del resto del viso, grandi e tondi ma soprattutto neri. Un nero così nero, lucido, profondo e insondabile, neri specchi che riflettono qualcosa di troppo grande, qualcosa che se anche ti sforzi non riesci a nominare, identificare. Quegli occhi ti spiazzano quando li vedi per la prima volta, è come osservare la superficie del mare in piena notte, un nero che cela un mondo che puoi solo cercare d’immaginare, senza riuscirci, perché ciò che immagini proviene dalla tua mente, non da quella che c’è dietro quegli specchi. Lara vive con i suoi e studia lettere classiche. E visto che siamo in vena d’informazioni anagrafiche io, la vostra adorata Cry, la più bella diciannovenne del mondo: a diciassette anni ho dovuto far fronte alla scomparsa della mia famigliola, incidente stradale che in un solo istante ha cancellato dalla terra e dalla mia esistenza i miei genitori e mia sorellina Nicoletta. Per i primi tempi sono stata affidata a mia zia Clara, mi sono dovuta trasferire a casa sua ma mi sono comportata come una cavallina selvaggia imbizzarrita, questo per alcuni mesi. Avevo voglia di solitudine, ne ho combinate di tutti i colori, ho preso a calci mia nonna, ho ingoiato una scatola intera di sonniferi, sino a quando zia Clara si è arresa ed è riuscita, tramite un programma di recupero minorile, a farmi assegnare un monolocale e un piccolo assegno mensile. Ho dovuto subire alcuni noiosi colloqui, con una psicologa e un’assistente sociale, ma la mia voglia di solitudine e distacco dal mondo finalmente aveva trovato una piccola nicchia al dodicesimo.

giovedì 1 maggio 2008

...ferite


Qualche volta, quando qualcosa ci fa male, veniamo graffiati così in profondità che ciò che sgorga è sangue pulito, una purezza dimenticata, bellezza incontaminata, la nostra vera essenza…