mercoledì 24 marzo 2010

ci dicono che dovremmo assomigliare ai tronisti della de filippi, ai temporanei abitatori di quell’isoletta più falsa e conformista di un assoldato imbonitore televisivo, alle noiose e gioiose vallettine sudamericane. depilati e abbronzati, scolpiti e dall’aspetto fisico ossessionati. uniformati cervelli anestetizzati con l’unico pensiero di acquisire inutili cose materiali. quelle stesse cose materiali che diventano le uniche cose importanti della nostra vita. diventano le uniche cose. diventano la nostra vita. sorrido. sorrido e abbigliato da cervello anestetizzato fuggo dal lavaggio del cervello. la fuga mi fa sorridere. sorrido come un illuminato giullare mimetizzato. in troppi fingono di rifiutare il lavaggio cerebrale e si ritrovano sedotte vittime di caduche lusinghe, povere attrazioni per impoveriti spiriti omogeneizzati, livellati, piallati da spot e programmi televisivi, da sorridenti mercanti di piccoli sogni concreti a portata di portafoglio. continuo a camminare in questo circo, tengo per me le mie impagabili sensazioni, nel profondo della mia caverna la luce colorata dei riflettori non arriva. gli esserini che conosco, quelli che mi attorniano tutto il dì, appena possono scappano nei centri commerciali per comprarsi un nuovo modello di cellulare, quello che hanno da ben cinque o sei mesi è ormai antiquato. io, appena posso, mi nutro di abissi e di silenzi, nuoto senza brividi nel mio freddo mare, come piangere e ballare insieme, se mi capite…

ogni tanto qualche lampo, la mia bellissima musa dalle vene di ghiaccio, madide lingue tropicali blandiscono il mio scafo, grandi scrittori scrivono solo per me, esplosioni di voglie allettanti come demoni colorati, ogni tanto qualche lampo percorre la mia notte, ogni tanto qualche breve lampo di bellezza e voluttà. esplosioni percorrono la notte, il mondo ulula nella mia notte, le stelle del mio cielo sono tutte così lontane. mi rannicchio in un angolo del mio bosco poi prendo a camminare, camminare fino a perdermi per poi ritrovarmi, sempre più solo, senza paura di farmi sbranare dalle mie ingorde fantasie concentriche… mmmmmmm ok, ci do un taglio! continuo a scrivere col pensiero… … …

giovedì 18 marzo 2010

sogni d'oro

estrema solitudine notturna. gli schiamazzi giornalieri si diradano ed ecco riaffiorare i criminali pensieri distruttivi, voraci, mostruose creature notturne che azzannano la mia pelle appena struccata. sento il peso della stanchezza del pagliaccio. ho voglia di estrema semplicità, mandare a quel paese chiunque mi si avvicini con intenzioni troppo attorcigliate. mentre si placa il brusìo della platea, sedimentandosi sul fondale e lasciando la notte sgombra da ogni fastidioso rumorino di sottofondo, mentre il silenzio si espande sino a ricoprire l’aria di questa notte, sento tutto il disprezzo per le persone che la vita mi mette forzatamente davanti. sorrido mentre sento questo disprezzo che mi provoca una laconica sofferenza cronica. immagino giornate costellate di persone che sanno ascoltare i miei silenzi, apprezzare i miei occhi, assaporare la mia vena malinconica. ho voglia di semplicità. che non è la semplicità degli squallidi esserini sghignazzanti che mi attorniano. mi lascio mordere, azzannare dalle mie inquietudini, mentre gli esserini riposano beatamente al calduccio. a loro sonni tranquilli, a me la mia dannazione.
mentre sento la pelle che comincia a lacerarsi, mi sento fortunato. sogni d’oro.

martedì 16 marzo 2010

antiretro







mi ha colpito intimamente questo spot. mi ha sempre colpito il recondito lato malinconico di marilyn monroe. in queste immagini lo si intuisce benissimo, subito dietro l'angolo, appena sotto quel sorrisone radioso, sotto quegli occhioni sgranati e ingenui, dietro l'immagine della procace biondona bambolona... quando dice che "la nostalgia non è glamour" si sente parlare quel suo lato nascosto, sembra voglia avvisarci di quanto possa essere pericoloso l'abisso...




lunedì 15 marzo 2010

scenografico decesso

tracce di amplesso

lungo il cunicolo

l'abisso

la mia personale arena

dell'eccesso

.

genuflesso

sorridente e sfamato

attendo la messinscena

del mio scenografico decesso

.

lunedì 8 marzo 2010

viaggetto-vagabondo I












economica-stracciata-compagnia-aerea-da-quattro-soldi : tutto il viaggio un continuo e irritante messaggio negli altoparlanti , o l’equipaggio cercava di apparire simpatico a tutti i costi con battutine che è già tanto se il signore non ci ha abbattuto oppure tentativi di vendere souvenir, profumi, sigarette-per-smettere-di-fumare, gratta-e-vinci con tanto di messaggi registrati di ipotetici e fortunati vincitori!!! i soldi che spendevo in più per le consuete e blasonate compagnie aeree, ecco dove finivano! in serietà espressa in distacco, freddezza e soprattutto SILENZIO!!!

ancora una volta una camera d’albergo, io e la mia splendida dama ottocentesca; ho l’animo leggero, il viso struccato e senza maschera, la giornata è grigia e piovigginosa. così come lo spirito lascia il corpo durante un viaggio astrale ora io comincio ad abbandonare il mondo, mi distacco da tutto ciò che vedete. comincio a lasciarmi sprofondare come se fossi in un sogno, un sogno che faccio durare alcuni giorni. sia chiaro, per sogno non intendo una sfilza di momenti tondeggianti, privi di spuntoni taglienti e acuminati. sovente i miei sogni sono fortemente venati di un’inquietudine che viene dai più remoti, fondi e pericolosi anfratti della mia mente.

tardo pomeriggio: così come stamani, anche ora, all’imbrunire, passeggio solitario tra le mura su cui sbatte senza resa un mare discretamente agitato. cammino con passo lento e lo sguardo aperto, rivolto verso l’animo, non vedo le personcine che incontro, metto le cuffiette dell’mp3 a volume zero, tanto per evitare eventuali contatti “mi-scatti-una-foto-grazie-ciao”. quando il sole decide d’immergersi mi fermo, poggio i gomiti sulla muraglia, il volto, il mento un poco all’insù come per cercare di sentire un suono lontano; ciò che voglio sentire, in realtà, è la fredda brezza marina sulla faccia. l’espressione un po’ antipatica e di sfida, lo sguardo lungo, lungo, una barchetta che presto si perde nell’orizzonte. interiorizzo il rumore del mare, come un respiro che mi appartiene. accendo “down in a hole”, il vento, il rumore del mare li sento ugualmente. in questi momenti sono del tutto incapace di sentimenti quali odio, rabbia, risentimento, ogni soggetto scompare. penso a ciò che diceva il poeta circa l’odio: “l’odio è un liquore prezioso, un veleno più caro di quello dei borgia perché è fatto con il nostro sangue, con la nostra salute, con il nostro sonno e con i due terzi del nostro amore! occorre esserne avari!”

torno in albergo, qualche libricino sparso sul letto e sul comodino, qualche lattina di birra e la bottiglia dimezzata della tipica acquavite locale; la tv ha una ventina di canali quasi tutti criptati, mi compiaccio che riesca a trasmettere il radiofonico canale “auditorium” della rai: prima un biblico e intensissimo oratorio di mendelssohn ( l’ elijah) ora alcune mazurke di chopin. la musica classica del canale rai è l’invariato sottofondo delle ore trascorse in albergo. con più di un pizzico di autocompiacimento mi diverto a pensarmi come ad un artista maledetto in qualche alberghetto bohémien del quartiere montparnasse nei primi del ‘900. nessuno sparge rose rosse lanciandole attraverso la mia finestra, vabbè !
stanotte in un lancinante momento di sconforto ho cercato a tentoni una manina gelida da sfiorare: l’ho trovata, era lì, è stata con me tutta la notte, dolcissima presenza discreta e desiderata. una pallida manina da stringere in piacevoli momenti di autoisolamento. sulle mie labbra ha dolcemente posato le sue dita, suggerendomi un silenzio che sapeva di tepore, di meraviglioso sorriso e complicità d’animi.
in questi momenti, in queste stanzette d’albergo, ho così poca paura della morte, sarebbe una solitaria fine senza invitati, nessuna processione di maschere tristi, una fine semplice e non gridata.
ora sono le sei del mattino: faccio una doccia e vado a saziare lo sguardo con il mare agitato, un pagliaccio in vacanza col suo intrinseco carico di tristezza.



viaggetto-vagabondo II



il tramonto mi porta un messaggio di una morte annunciata, un addio alla luce del tramonto è un condensato di struggente tristezza che non puoi scacciare via. i miei gelidi occhi passano velocemente in rassegna una serie di bellissime immagini di vetro; una tendina di velluto nero e tutto svanisce, tranne la tristezza. per quella il tempo farà il suo corso.
sono umano ( ah si? ) e ho voglia di essere abbracciato, ho voglia di stringere qualcuno a cui voglia mostrare qualcosa di me, qualche centimetro di pelle senza trucco. cammino tra la gente come uno straccio indifferente, incrocio spaventapasseri tutti uguali, sono un pagliaccio senza i vestiti di scena, pallido e morente eppure con quella mia triste allegrezza che mi fa sembrare bello, perlomeno ai miei occhi.

l’amore può essere il più forte ansiogeno o il più forte calmante, percorre le nostre vene come un elettrico veleno che ci strazia o ci lascia beatamente soporosi. decido di perdermi in un paese sconosciuto, una terra dove l’aria regala una freschezza sorprendente, gli alberi sono vivi, maestosi e spettacolari e ogni donna che incontro è una sconosciuta che non mi ha mai fatto del male. passeggio di notte e col buio le mie piume diventano nere, cammino come un umano riscoprendo la semplicità del suolo. la solitudine, penso, mi permette ancora di spiccare il volo. ora, però, ho voglia di camminare con passo straniero. l’acqua nera in cui mi specchio mi chiama con voce familiare, sorrido tristemente e leggero mi lascio inghiottire nel vortice di questa notte in cui nessuno può vedermi, non ho pensieri da esternare, sguardi da condividere, la solitudine è la mia sostanza essenziale. morissi in questo momento morirei tranquillo, introverso come un’implosione di tristezza ancestrale.

le divinità del cielo credo si siano prese una vacanza: qua c’è solo mare e aria di mare, la noia deve averle assalite e il loro sguardo, ne sono sicuro, è rivolto altrove. non ho più niente da guardare, un tempo esistevano cose che per me superavano qualsiasi bellezza, mi riempivano di gioia fino a farmi sorridere dentro ( a volte anche fuori). ora mi abbandono ad un delirio di vento e di mare, il mio pensiero è un pallido sospiro assetato di baci e di pianti, mi lascio erodere dalla brezza come una millenaria statua dimenticata. scavo nel mio profondo fino a far sanguinare le pareti della mia caverna, sono il carnefice di me stesso, diceva il poeta “ si devono avere le ali se si ama l’abisso”.

viaggetto-vagabondo III

eccola, tra le pareti rovistate dall’inquietudine, eccola un po’ di pace! ha il colore dei riflessi sfavillanti dell’acqua, il fresco pungente della brezza, il calore del sole, la distanza dalle persone, lo sciabordìo delle onde sulle rocce. mi riconosco ancora una volta tra miriadi di sconosciuti tutti uguali, mi riconosco e quasi sorrido, mi riconosco sorseggiando gocciole di pace, brevi scintille di solitudine inesplorata. in questo momento mi piaccio da morire, sono un rapace che vola alto sulle vostre teste indistinte. mi scopro, ancora una volta, innamorato di me stesso.

ultima notte in quest’anonimo alberghetto: forse anche stavolta non muoio, nessuna fine in puro stile rockstar-dannata fine anni ’60. seduto sul letto di questa camera d’albergo sono in verità un angelo disoccupato, in attesa di un dolce compito che gli venga assegnato. dolcissimo come un condannato mi lecco le ferite, come un notturno pensiero diseredato.

adoro sentirmi tanto diverso in mezzo alla folla, una mosca bianca con cappotto nero e occhiali scuri ehehhehehe. la consapevolezza della diversità mi rende sarcastico nei confronti del mondo. ancora una volta completamente solo nel bel mezzo del paesaggio innevato del mio animo. con espressione serissima scrivo queste parole ma in realtà sorrido internamente, sotto questi abiti borghesi si nasconde un pagliaccio di talento in grado di prendere in giro il mondo tutto intero.
lo so, l’ho già scritto, ma se non lo fossi m’innamorerei volentieri di me stesso. solo io conosco sino in fondo il mio fascino acuto e scapestrato, timido e discreto ma pacatamente istrionico e libertino, sono un affidabile e mediocre saltimbanco colorato col suo bel vestitino grigio d’ordinanza.
vedo continuamente la gente “accoppiarsi”, appoggiarsi a qualcuno esclusivamente per debolezza, debolezza che immediatamente si traveste da sentimento affettuoso o qualcosa di simile. la follia di camminare esclusivamente con le proprie gambe, facendosi accompagnare da madama solitudine, necessita di un raro coraggio corroborato da un sano innamoramento per se stessi. mmmmmmm ometto le cose troppo personali e offro ai vostri occhi i pensieri di questi giorni.
adieu.






mercoledì 3 marzo 2010

guardo un cielo nero. consolanti immagini di soffici notti tiepide e morbide. tenere palpitanti forme da scaldare, avvolgere nel proprio mondo. presagi di morte, lampi pronosticano la fine, me la fanno intravedere sotto forma di gelidi bagliori acuminati. accecanti flash gridano la parola "fine". lampi che tagliano, squarciano speranze, straziano aspettative, sbaragliano illusioni. la mente infantile rifugge la parole "fine". il pragmatismo molte volte lo riponiamo sotto il letto per dormire più comodi, ci accoccoliamo tra i cuscini dei nostri sogni. vedo semplicemente morire il mio amore. vedo una distesa di ghiaccio. la mia vita una valle raggelata, nessuna ultima passeggiata tra i cipressi, una taciturna distesa di neve senza ombre.