sabato 31 dicembre 2011

la mia splendida dama ottocentesca in piedi, al centro della stanza. bellissima, pallida e leggiadra come un fantasma. il mio fedele e premuroso fantasma personale. stasera vestita di bianco, abito lungo, viso incredibilmente malinconico, espressione segnata da un silenzio di neve e di cristallo. raccoglie un pezzetto di vetro dal pavimento, residuo di un bicchiere rotto qualche giorno fa e sfuggito alla carezza della scopa. se lo porta sul viso, sfiorandosi la guancia, lambendosi delicatamente senza tagliarsi. se pure si tagliasse dubito uscirebbe un piccolo rivolo di sangue, una lacrima traslucida tuttalpiù, una goccia di silenzio rivolta solo a me. io e lei nella stanza, due sguardi smarriti, due volti risparmiati dallo smog quotidiano. ci guardiamo in silenzio, ci sorridiamo senza sorridere. un getto di sangue scuro sui miei pantaloni. sorseggio un po’ di porto, osservavo la mia dama e ho versato un po’ di vino sui pantaloni. uno schizzo di sangue imprevisto. non male. lei, col suo sguardo, sa accarezzare così bene la mia anima… siamo come fiocchi di neve, se ci abbracciassimo ci scioglieremmo in un istante. ci guardiamo soltanto, come solo noi sappiamo guardarci.

giovedì 29 dicembre 2011

attendo inerte davanti al foglio virtuale. sono soffice, pronto a salpare. verso una notte tutta mia. solo come un puntino luminoso nel mare nero come un pozzo. una lucciola alla deriva nel cosmo freddo e totale. solitudine siderale, silenzio stellare. mi voglio bene e mi faccio del male. amore paradossale. con la mente cerco un cigno da far scoppiare. possono sembrare le solite cose che scrivo ma, quando le scrivo, sono così schietto e struccato, un giullare asociale. sotto il velo la mia autoinfatuazione personale. danzo come una montagna che frana trascinandosi verso il mare. un teschio nello specchio della notte, uno spirito nel buio, un battello ansioso di naufragare. lascio il porto, l’ultimo saltello, spicco il volo…. senza saper volare.

sabato 17 dicembre 2011

solitudine affilata, potente, malinconica e aristocratica. semplicemente la mia tristezza, la mia splendida dama ottocentesca che non mi abbandona mai. le sorrido mestamente e lei… lei non mi accarezza come solo lei sa fare. ora lei…. lei mi abbraccia. non lo fa mai. potrebbe cadere il mondo. ho il viso stanco e sciupato, la barba incolta. mi abbraccia come solo lei potrebbe fare. il mio sguardo è uno specchio apatico e disinteressato, il mondo non gli interessa. ascolto il vento che tormenta la notte. ho sorriso ad una ragazza, stasera. cose che fanno i comuni mortali. i comuni mortali fanno anche altre cose: temono il fuoco, temono la morte, si sottraggono al dolore appena possono. la mia splendida dama ottocentesca è in qualche modo imparentata con la morte. è una morte romantica e premurosa. vado incontro al fuoco, al dolore, ascolto i miei lupi che si avvicinano e verranno a sbranarmi, questa notte. scrivo queste cose per me stesso, per sentire la mia voce. credo che nessuno possa capire.

martedì 13 dicembre 2011


un esercito di folli tutti i miei figli, guerrieri solitari e innamorati, poeti, sognatori e soldati, tutti privi di testa, immersi nel grigiore, tutti semplicemente mai nati. chiodi e catene nelle tasche, e qualche chilo di onore. a volte un po’ di coraggio, altre volte un solo fiore. un grande oceano interiore al posto del mondo, battelli sperduti, naufraghi senza appigli. ognuno di essi è un fanciullo che muore. c’è chi chiude un occhio per meglio vedere il miraggio, qualcun altro, almeno col pensiero, è perennemente in viaggio. un esercito di alberi tutti i miei figli, giovani deflorati, scrittori smemorati, vascelli privi di equipaggio. tutti semplicemente mai nati.

sabato 10 dicembre 2011

ho in mente la scena del film inglorious bastards in cui melanine laurent, la proprietaria del cinema,si veste e si trucca prima della proiezione del film e dell’attuazione della sua vendetta. la scena è superbamente incastonata in una canzone di david bowie. ho voglia di quella canzone, la cerco e la trovo, metto il cd (let’s dance, “cat people”). alzo un po’ il volume, indosso solo un asciugamano dopo essere uscito dalla doccia, mi vesto con la musica che s’infiltra in ogni angolo della stanza. penso che la scena del film sia decisamente migliore di quella a cui stanno assistendo le mie pareti, penso a questo e sorrido lievemente. quando finisce la canzone, nel breve silenzio di separazione tra una traccia e l’altra del cd, la voce di bonolis trapela dalla parete della stanza, l’anziana dirimpettaia e il suo elevato volume televisivo. accendo una sigaretta e fumo in totale sintonia con la voce di david bowie. fumo con la voce di david bowie a farmi da sottofondo e lascio perdere queste righe. tornerò tra poco a far danzare le parole.

tra poco dovrei uscire ma per ora sono ancora tutto mio (“chi è solo è tutto suo” diceva il genio di vinci). osservo le numerose tele sparpagliate nella stanza e penso che non sarebbe affatto male avere un buon talento pittorico, osservo le tele e vedo profondità ed espressività nei miei ritratti, qualità che probabilmente sono frutto della mia immaginazione. spengo il pc, spengo lo stereo e vado incontro alla folla.

martedì 6 dicembre 2011

il silenzio è un serpente che non ti ascolta. non c’è nessuno che possa ascoltare. foglie cadono dentro la stanza, un mini autunno privato riservato alla mia stanza. parole e pensieri come foglie morte che cadono sul pavimento, tra le mie quattro mura intagliate in una notte distante da ogni cosa terrena. c’è un’indefinita aria funebre qua dentro. niente di particolarmente triste, atmosfera da austero funerale in piccolo cimiterino col prato verde e la pioggerellina leggera ad ovattare scambi sentimentali. niente parole da incrociare, solo qualche sguardo solitario vagolante come un uccellino che non trova un ramo su cui posarsi. ho l’aria stanca e mi trovo bello, quella bellezza in grado di emergere solamente in totale solitudine. spengo tutto, chiudo ogni spiraglio verso il mondo, mi gongolo con me stesso danzando mentalmente su una vecchia canzone rhythm and blues dal sapore antico, con le imperfezioni di un vinile che scricchiola un po’, fruscìo dal sapore polveroso ad impreziosire momenti di musicale perfezione dell’anima. seduto, ballo con la mia splendida dama ottocentesca. il suo prezioso abito purpureo è l’unico mondo che ho voglia di scrutare. cerco di far evaporare tutto il sangue che ho in corpo per spossarmi fino a cadere in un sonno che non potrà essere primaverile-tutto-passerini-cinguettanti-e-fiorellini. sono l’angelo della solitudine, con la barba lunga e il volto stanco.