venerdì 28 giugno 2013

in risposta alla 14enne, un rimedio contro la Noia dettato da un grande scrittore:

bisogna sempre essere ubriachi. tutto qui: è l'unico problema. per non sentire l'orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi tiene a terra, dovete ubriacarvi senza tregua. ma di che cosa? di vino, poesia o di virtù: come vi pare. ma ubriacatevi. e se talvolta, sui gradini di un palazzo, sull'erba verde di un fosso, nella tetra solitudine della vostra stanza, vi risvegliate perchè l'ebbrezza è diminuita o scomparsa, chiedete al vento, alle stelle, agli uccelli, all'orologio, a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che geme, a tutto ciò che scorre, a tutto ciò che canta, a tutto ciò che parla, chiedete che ora è; e il vento, le onde, le stelle, gli uccelli, l'orologio, vi risponderanno: " è ora di ubriacarsi! per non essere gli schiavi martirizzati del Tempo, ubriacatevi, ubriacatevi sempre! di vino, di poesia o di virtù, come vi pare".

Baudelaire

giovedì 27 giugno 2013

qualche giorno in bianco e nero, senza circo, senza lancette, senza la preoccupazione di diversificare le ore, i giorni, compiacersi di un piattume esteriore e poter distendere l’intelletto come meglio crede. adoro sgualcire la mia pelle, barbetta incolta e occhietti lucidi e stanchi, pupille vetrose di un castano che tende al verde. spiegazzato come un vecchio giornale già letto. vedermi così mi piace. nudo come un osso di una carcassa sotto il sole cocente del deserto. nudo e crudo senza orpelli. pura essenza priva di ornamenti. non mi va di dormire. voglio solo vedermi appassire come un socrate che accetta di morire. silenzioso come un fantasma in incognito mi aggiro nei meandri della circense realtà. per poi riesumarmi nella solitudine che mi è propizia. un mare di acqua nera fonda come una morte fredda priva di ogni profumo. nuoto sott’acqua sotto quell’acqua nera fonda come una morte fredda priva di ogni profumo. prendo un bicchierino di cognac, me lo serve nei miei pensieri una piacente cameriera bella come un angelo costretta a timbrare il cartellino, il suo circo immagino. assassini da film in bianco e nero conversano ad un tavolino abbigliati con impermeabili di pelle nera, sigarette e bicchieri di whisky a fare da contorno insieme ad una specie di calma routinaria decisamente fuori luogo. ho voglia della mia distorta lucidità. un libro scritto col sangue da un demone spietato e disumano. anch’esso nella mia mente. ancora un po’ di grigio e di nero prima di abbandonarmi nel mio letto rovente di buio, inquieto come un arido paesaggio dell’anima. 

giovedì 20 giugno 2013

le donne di modigliani


elvira
leggiucchiando a proposito di modigliani mi sono sorpreso a riflettere su un’affermazione fatta da uno scrittore sul pittore livornese. l’affermazione è la seguente: “certamente è stata beatrice hastings la donna più importante nella vita di modigliani, più ancora di jeanne hèbuterne, che sarà sì il grande amore, ma di scarso peso intellettuale”.
lunia
 modì ebbe numerosissime amanti, elvira detta “la quique”, figlia di una prostituta marsigliese, lunia czechowska, amica polacca del mecenate del pittore, leopold zborowski, la franco-canadese simone thiroux, che diede un figlio a modigliani ancor prima di jeanne hèbuterne, figlio che però non venne mai riconosciuto dal padre. numerosissime amanti, spesso storielle di una notte o poco più. ma due furono le donne importanti, con cui modigliani instaurò un legame duraturo, la scrittrice, giornalista e poetessa inglese beatrice hastings, con cui ebbe un legame molto tumultuoso che durò due anni, e jeanne hèbuterne che fu, come recita l’epitaffio sulla tomba dei due “di amedeo modigliani compagna devota sino all’estremo sacrifizio” (si suicidò, jeanne hèbuterne, incinta di nove mesi, gettandosi dalla finestra dell’appartamento dei genitori, il giorno dopo la morte di modigliani).
beatrice hastings
ma torniamo alla frase che mi ha colpito. mentre leggevo le parole “certamente è stata beatrice hastings la donna più importante della vita di modigliani, ancor più di jeanne hèbuterne” il mio cervello si è incazzato, ho pensato istintivamente “ma dai, il grande amore di un uomo, l’amore della vita è per forza la persona più importante nella vita di un uomo!”. poi mi sono reso conto che lo scrittore parlava dell’artista, del pittore amedeo modigliani, e in questo senso forse non aveva tutti i torti, lo scrittore, a identificare in beatrice la persona più importante per lo sviluppo mentale del pittore, dopotutto beatrice fu l’unica donna che seppe tener testa a modigliani, grazie al suo carattere molto forte, eccentrico e soprattutto al suo intelletto affilato. sicuramente jeanne amò infinitamente modigliani, ma anche quest’ultimo amò jeanne e la prova più bella di ciò la si vede nei ritratti che modì fece a jeanne hèbuterne, ritratti dai quali trasuda l’amore, l'ammirazione, l’incanto. sarà che nelle mie vene scorre una sorta di romanticismo mai sopito ma io faccio il tifo per jeanne.
jeanne hèbuterne





domenica 16 giugno 2013

aspetterò la morte da solo. tutti lo fanno, tutti fanno i conti con la morte a tu per tu. sono i corpi che avendo qualcuno accanto danno l’illusione che non si sia davvero soli. il mio corpo, quando avrò davanti la morte, sarà solo. non verrebbe etichettato, dalla gente, come un pensiero allegro. è un pensiero come un altro. balle. nessun pensiero è uguale ad un altro. prendo qualcosa da bere, offro io. una volta ho sposato la mia bellissima musa dalle vene di ghiaccio. voglio dire, c’è stato un momento in cui l’avrei fatto e basta. nessun pensiero è uguale a un altro, nessun momento è uguale ad un altro. quando morirò forse tornerò a casa. nel luogo da cui provengo. questo mondo con me c’entra davvero poco. una rondine, ne esistono ancora? vola aldilà della mia finestra. oggi ho guardato negli occhi una morta che respira. le ho anche rivolto la parola. cinquant’anni, un cancro allo stomaco, le hanno detto che l’avrebbero portata in sala operatoria e le avrebbero asportato lo stomaco. invece. invece dopo averle aperto la pancia hanno visto che il mostriciattolo si era avvinghiato al pancreas, al fegato e al duodeno. l’hanno richiusa senza fare nulla. hanno scritto che si sono limitati a fare un intervento palliativo e che c’è l’indicazione alla chemioterapia. verdetto di morte. anche se a lei ancora non gliel’hanno detto. io ho guardato una morta che respira, una cosa come un’altra. cose che succedono. magari non lo sai ma ti capita più spesso di quanto pensi. vedere una morta che respira. una cosa come un’altra. 

lunedì 10 giugno 2013

synodus horrenda


c'è un dipinto del 1870, di un certo jean paul laurens, che immortala una scena grottesca e macabra: un ambiente tetro e solenne, pietra e chiarore e oscurità, tessuti araldici, visi ed espressioni dure, tracotanti, inquisitorie. il protagonista della scena, oggetto delle accuse e terminale della tensione palpabile è seduto su un trono, indossa abiti fastosi. è uno scheletro.


nell’anno 897, a roma, nella basilica di san giovanni in laterano, fu istituito uno stranissimo processo, il synodus horrenda o concilio cadaverico. il sinedrio di cardinali e vescovi, guidato dal papa stefano VI, si riunì per giudicare il cadavere del papa formoso, morto nell’anno 896. per l’occasione il corpo del papa defunto fu riesumato e le sue ossa ricomposte con corde, lo scheletro fu abbigliato con i paramenti papali e fatto accomodare su un trono. il cadaverico imputato fu giudicato colpevole di aver incoronato un imperatore che, per motivi politici, non doveva essere incoronato. all’imputato vennero strappate di dosso le vesti papali e le ossa vennero gettate nel tevere. successivamente la figura di papa formoso venne riabilitata dalla chiesa e i processi a persone defunte furono aboliti.

giovedì 6 giugno 2013

diomio i miei lupi stanotte sono più affamati che mai, non riesco nemmeno a stare sul letto, devo stare seduto sul divano, in salotto, forse per tutta la notte. ho il viso stravolto, stanco, sfibrato, invecchiato, la mia maschera è uno scafo eroso dai salmastri e invisibili venti che nascono come fumi o nebbie spettacolari, come napalm che si appiccica alla pelle e non la abbandona abbracciandola sino alla morte. ricordo ora, non so perché, quando da bambino ero ammalato, quando avevo la febbre, ricordo la meravigliosa sensazione di una spossatezza che mi molestava e quella molestia io la vivevo come una confortevole coperta che mi coccolava. immagino ora la fredda metallica estremità di una pistola che mi premo contro la fronte, immagino che premendo il grilletto si sentirebbe un crack della scatola cranica che si frantuma come vetro, adoro ora il suono di quel crack immaginario. seduto sul pavimento rannicchiato con le braccia che stringono le ginocchia, i piedi nudi sul verde del prato fatto di freddo bianco marmo di un appartamento cittadino. se mi passate l’ossimoro, un’inquieta serenità aleggia dentro il mio animo un poco ruvido e blueseggiante. la solitudine che mi sono regalato, o a cui sono stato destinato, è sempre più salda ed ha sempre più il sapore di una certezza che, a modo suo, mi dona una certezza solida come marmo. vorrei aver scritto moby dick. vorrei il talento pittorico di Raffaello. il resto è aria che riempie il tendone del circo quando lo spettacolo è finito, quando la gente se n’è andata e restano le cartacce, il silenzioso disordine e la puzza degli animali mista al dolciastro respiro di pop corn e zucchero filato.

martedì 4 giugno 2013

pupille di vetro monotone fiammelle danzanti. splendidi i miei occhi risplendono tristi meravigliosi come parole estratte dalle recondite profondità di una mente dai morbidi colori ambrati. qualche notte fa sono stato male. un’intera notte trascorsa tra spasmi e dolori. il mattino seguente non sono nemmeno andato al circo io che sono una pagliaccio serio che per mimetizzarsi a puntino timbra sempre il cartellino con robotica puntualità. come sempre quando soffro amo farlo in totale solitudine come un animale ferito che si distacca dal branco per andare incontro ai propri incubi. per qualche attimo quando i dolori sono diventati tipo parto ho anche accarezzato l’idea di un pronto soccorso. ma il deserto della mia stanza era il mio habitat e nessun altro luogo avrebbe potuto sanare le mie ferite. sono sempre più lontano dalle persone meccanico vesto i panni del pagliaccio per poi denudarmi tra le mie quattro mura di vetro e cemento e buio e carboni ardenti. alle prime luci del sole quando le fitte dolorose mi hanno concesso un poco di tregua giusto il tanto per poter restare sdraiato per mezz’ora o un’ora di fila non mi andava nemmeno di riversare su queste pagine il fuoco che ardeva dentro le mie carni. perché ero stremato dalla sofferenza ma non solo. anche perché ero nel bel mezzo di un deserto dove non esisteva un pc uno schermo un foglio di carta e forse nemmeno le parole la comunicazione. non esistevano persone. ho telefonato al circo per avvertire che stavo male. e mi sono lentamente spento come una fiammella in una notte senza luna lampioni case grattacieli insegne automobili e rumori. 

sabato 1 giugno 2013

ho smesso di respirare, mi libro in aria sul mio enorme alato cavallo dai colori sgargianti, non potete accarezzare i miei occhi, dolciastre secrezioni, sprigionate da invisibili ferite del cielo, lambiscono le mie purpuree labbra morbide e flessuose. non so se vorrò tornare sulla terra. l’ultima cosa che ha accarezzato la mia mano è stata una foglia d’edera, non ricordo l’ultimo viso che ho visto. il mio abisso, quello che mi porto dentro fin dalla nascita, è la mia magia. il sonno è la mia grande ombra, il mio nido in cui mi piace tormentarmi con le braccia esauste. la scienza e la religione sono cieche dee dalle mani che non sanno sanguinare. sono cieche dee che si ostinano a non voler morire. mi perdo nel mio cielo, m’inabisso nella mia verità.