domenica 24 gennaio 2010

una notte come questa...

è una notte fredda e statica, il freddo sembra fissare ogni forma di vita, i rami spogli e scheletriti sono velati da una patina ghiacciata, gli uccelli dormono chissà dove, il cielo è la superficie di un mare scuro senza scogli o increspature, anche il vento se ne sta alla larga, nemmeno un pensiero aleggia nell’aria, mi sento come nel centro di una città disabitata. sono solo, sento affiorare dal mio profondo un silenzio, un silenzio che alla maggior parte delle persone farebbe paura, farebbe gelare il sangue nelle vene. io lo ascolto, inspirando profondamente, lo ascolto e mi trasmette una solitudine che sa di condanna e di libertà, la condanna e la libertà di chi non scende a patti con il mondo. mi viene in mente una tristissima canzone di paolo conte intitolata “lo scapolo”, una voce lamentosa e sconsolata racconta di una persona gradevole e stimata a cui tante donne hanno detto “sei tu che volevo” ma, alla fine, tutte quante si accasano solo per “salvare la faccia e avere la minestra sicura” e, il nostro scapolo, si ritrova a chiedersi “perché nessuna vuole condividere con me una notte triste come questa?”
accendo una merit ed esco sul balcone, l’aria è fredda e penetrante, osservo ancora il cielo: un grigio pesante che sfuma gradualmente su un arancione spento man mano che si avvicina alla punta ferrea degli alberi, sembra che dietro quegli alberi ci sia un piccolo camino acceso emanante una luce fioca priva di tepore. il silenzio, quel silenzio lo sento ancora. immergo lo sguardo e tutto l’animo in quel silenzio, resto solo con me stesso, ancora più solo di prima. alcune ore fa conversavo e socializzavo con il viso truccato e il mio bel nasino rosso. quelle ore sembrano lontane secoli, tutto il pubblico ha abbandonato gli spalti, sul palco sono solo, col viso struccato, le luci di scena sono spente, il palco non è più un palco. sono solo con me stesso. mi dico che se sono in grado di sentire ancora questo silenzio vuol dire che non mi sono ancora suicidato, non mi sono ancora “zombiezzato”. accenno un piccolo sorriso pensando che ancora riesco ad essere spietatamente sincero con me stesso, ammettere questa sconfinata solitudine significa non prendersi per i fondelli, non inventarsi delle comode bugie soffici e rassicuranti come confortevoli poltrone su cui sprofondare placidamente. mi sorrido pensando che là fuori ci sono un sacco di persone morte, accoccolate nei loro sonni scialbi e insignificanti. per loro la minestra è sicura. a stomaco vuoto sorrido, malinconicamente e beatamente sorrido. felice di non condividere con nessuno una notte come questa. amen.

venerdì 22 gennaio 2010

lettera aperta. senza troppi giri di parole, dedicata a te, bambi. perché pubblicarla qui, alla luce del sole? per dirti che ti stimo molto, perché magari alla mia può aggiungersi qualche altra voce lucida, equilibrata, saggia, perché questo blog è un contenitore per i miei pensieri e perché non ho intenzione di scrivere niente di scandaloso. se comunque ti dà fastidio, elimino subito senza esitare.
l’adolescenza, si sa, è un fase critica, forse semplicemente perché gli errori che si possono commettere non possono più essere condonati con l’attenuante dell’ingenuità infantile. una fase critica, questo lo si dice spesso e non voglio ribadire concetti assodati. qualche giorno fa mi sono sorpreso a chiedere (a xonix? a plastilina? boh… ) “secondo te come starà bambi in futuro?” mi sono sorpreso ad essere preoccupato. preoccupato per il futuro di una giovane lama affilata. spesso mi viene in mente la frase “sono le lame più affilate quelle maggiormente soggette a spezzarsi”. la precocità, l’acutezza, l’affilatezza sono qualità che rendono diversi. la diversità genera distacco, solitudine (parlo di distacco e solitudine interiore). l’isolamento è un fardello gravoso, per sostenerlo ci vogliono spalle forti e una struttura mentale compatta, temprata. tre frasi di tre grandi scrittori emergono dalla mia mente, tre frasi che sento molto mie :



Più si è raffinati, più si soffre. (A.Cechov)
La solitudine è come una lente
d’ingrandimento, se sei solo e stai bene stai benissimo, se sei solo e stai male
stai malissimo. (Giacomo Leopardi)
Bisogna essere molto forti per amare la
solitudine. (Pier Paolo Pasolini)


come ho detto, mi sono sorpreso ad essere preoccupato. una preoccupazione serena e pacata, forse perché scaturita da un qualcosa che non ha l’immediatezza di un imprevisto, non si tratta di una tegola che cade inaspettatamente sul capo. inoltre si tratta di una cosa bella, una fortuna. una fortuna appuntita, delicata, spinosa ma pur sempre una fortuna. non dubito della robustezza delle tue spalle, della consistenza della tua mente, semplicemente mi andava di esprimere la mia (ripeto, serena e pacata) preoccupazione, tutto qua. concludo con una richiesta, io che non amo tanto farne. sei una splendida quattordicenne. non dimenticare queste due cose. sia che sei splendida ma anche che sei una quattordicenne. vivi da quattordicenne. magari, se può esserti d’aiuto, pensa ogni tanto ad un pagliaccio ebbro. tengo dei corsi di teoria clownesca , ogni mercoledì e venerdì dalle 16 alle 18 ehehehehheeh. scherzo.

con stima e affetto, ilbatt

mercoledì 20 gennaio 2010

autoritratto

.
.
ardendo
mi osservo piangendo
la triste bellezza preziosa
sfiorendo rivela
la sua intima essenza
scabrosa
.
una quiete
dannata e sinuosa
nel fondo
oscuro e angoscioso
riposa pacata
e indolente
.
un lampo remoto
simile a luce lunare
insolente e viziosa
rifulge nel mio animo
svogliato e morente
.

lunedì 18 gennaio 2010

titoli di coda...

sbilanciarsi rivelando sensazioni ma restando sempre a dèbita distanza, come dire di voler morire e gettarsi giù da un ponte ma indossando un salvagente. scrivere qui è la dimostrazione di coraggio di un’anima che non vuole infangarsi, chiacchiere coraggiose di un’anima mascherata. certi folli, che vivono una vita dissennata e che ai nostri occhi appaiono semplicemente stravaganti, certi folli che non si piegano e che finiscono per suicidarsi, loro, oh si, loro hanno coraggio. il coraggio io lo esprimo non lasciandomi avvicinare intimamente, non scanso la sofferenza inventandomi un personaggio che non riconoscerei guardandomi allo specchio. ho il coraggio di percorrere la strada della solitudine fino in fondo, questo me lo concedo e mi sento bello mentre lo scrivo. in molti dicono che ci vuole coraggio a mostrarsi agli altri, io ho il coraggio di non farmi avvicinare, e ne pago consapevolmente le conseguenze. sono un battello fantasma in mezzo a un mare di nebbia, questo sono realmente. il corpo mediocre che vedono tutti quanti. quello che fa un lavoro mediocre, che ha abitudini mediocri, quella è la semplice proiezione di una pellicola girata per i molteplici sguardi miopi che mi circondano. proseguo alla deriva nel mio mare, proseguo a proiettare il film. tra i titoli di coda scorrerà la frase “non avete mai capito un cazzo! “ eheheheeheheheheh

martedì 12 gennaio 2010

ho voglia di arte, la mia anima ha voglia di commuoversi, piangere, emozionarsi. domani credo andrò a trovare il mio caravaggio. e raffaello, tiziano, tintoretto, bramante. piangere in silenzio, vedendo cose che la gente comune non vede. sentire le cose “diversamente”. sarò un’anima immersa, rapita, assorta, un’anima incastonata in un volto da pagliaccio. nudo in mezzo a tanta gente che vedrà i miei vestiti camminare come gli indumenti dell’uomo invisibile. di me vedono solo i miei vestiti. la superficie, la punta dell’iceberg. il continente sommerso, visione preclusa ad occhi miopi. vivo in un mondo fatto di miopia dilagante, straripante sfoggio di futilità.

lunedì 11 gennaio 2010

passata l’una di notte, il grido selvaggio di jim morrison echeggia nel silenzio della notte, la suoneria del mio cellulare. ogni tanto rispondo alle telefonate. rispondo. “ma tu hai una vita? io credo di non avere una vita …”. la mia amica matta, instabile nelle sue incertezze intrise di vana depressione esistenziale. “sono su facebook, tutti quanti hanno una vita, chi ha i figli, chi fa volontariato, chi è satanista… io non ho una vita” . lapidario rispondo “tu invidi quelle persone? pensi siano più ricche di te?” mi conosce e mi risponde prontamente di no, che non le invidia, sa che mi arrabbierei e tuonerei le mie teorie sulla percentuale vicina al 100% di persone mediocri e profonde quanto un fossato scavato con una taglierina spuntata. ha voglia di parlare, l’accontento per cinque minuti. cinque minuti sono bontà , al sesto minuto scatterebbe una solidarietà venata d’ipocrisia. non sono seduto su uno sgabello di un consultorio della caritas. la bontà mi suggerisce l’ultima frase “vabbè, dopodomani facciamo colazione assieme al bar…”. chiudo la telefonata.

ora, le quattro del mattino. penso alla mia vita spogliata di tutte le cazzate che “la gente” chiama vita. mi vedo a vagabondare indolente e menefreghista, incurante delle persone che mi attorniano, del mondo intero. mi vedo a non preoccuparmi delle cazzate, a vivere facendo solo quello che mi va, vivere con la mia anima che respira a pieni polmoni, la mia anima all’aria aperta. la gente vedrebbe uno sconsiderato, un folle sbandato. mmmmmm devo scappare e interrompere i miei pensieri, vabbè……

giovedì 7 gennaio 2010

da qualche ora ascolto gli ‘stones, mi dedico a fare un po’ di pulizia nella casella di posta elettronica. alcune mail restano lì, impassibili come aiuole un po’ sfiorite, altre, più recenti, resistono ugualmente alla mia impudente gomma per cancellare. altre vengono spazzate via, in fretta, senza soffermarmi con la memoria.

quanto sono vuote, banali, leggere e inconsistenti le persone che mi circondano, diomio, mi sento così diverso dalla cornice e dallo sfondo del quadro che sono costretto ad abitare . delle volte penso, e lo faccio sempre con più forte convinzione, di essere stato partorito da qualche nobile e inarrivabile dea solitaria, partorito da bellissime cosce ultraterrene in un luogo isolato, illuminato dalla luce della luna. partorito e abbandonato su questo suolo che non mi appartiene. penso alla mia nobile e bellissima dama ottocentesca, lei che non mi abbandona mai, pensieri incestuosi animano la mia immaginazione. tra gli dèi queste cose, dopotutto, non sono certo infrequenti. gioco un po’ con la mia fantasia, penso all’unicità del mio sangue, sono una creatura senza padri, antenati, avi e tutta quella roba lì. e senza discendenti. nato solo, vissuto solo, morirò solo. amen.

sabato 2 gennaio 2010

cazzo le cinque del mattino. mettermi a letto sarebbe una sterile messinscena. appena deposti i panni del pagliaccio. ora il viso pallido e senza trucco, lo sguardo e l'animo sereni ma di una serenità insensibile e disinteressata. il sole deve ancora sorgere, ho cercato invano di eclissarmi ma eccomi qua. solo con me stesso. ho spento anche la musica. solo con me stesso. il rumore dei tasti e lo sguardo sullo schermo. ogni tanto un'occhiata alla finestra ma c'è ancora buio. mi ritrovo solo con me stesso. quante volte questa sensazione. un'occhiata alla gabbietta dei canarini, ultimamente ho sconvolto anche il loro orologio biologico, non capiscono più un cazzo di quando sia giorno e quando sia notte. sparsi attorno al divano, per terra, libri di poesie, rimbaud-baudelaire-artaud-campana-blake, il mio taccuino in cuoio scuro, il diaro della mia Cry, fogli scritti a mano, parole abbozzate, frasi imperfette ed incompiute, idee interrotte e frammentarie. roba da cestinare al prossimo giro di pulizie domestiche. sono stranamente lucido e acuminato. nessuno mi vedrà mai in questo modo. siete tutti degli astronauti, io l'unico essere calzato di pelle umana. provo a tendere l'orecchio ma non sento il sangue scorrere. mi guardo le mani, amo le mie mani, le trovo bellissime. quando sarò morto emanerò per pochi attimi una specie di nebbiolina, come un fiammifero appena spento. nessuno potrà vederla, quell'anomala foschia spirituale. sarò semplicemente un corpo freddo e morto. quella che vedrete sarà la carcassa di un battello da secoli ormeggiato nel deserto.