mercoledì 28 settembre 2011

senza disturbare...

a pochi cm dallo specchio scruto i miei occhi, nella pupilla vedo riflessa la mia faccia ma non m’interessa, distolgo l’attenzione dalla pupilla e torno ad osservare loro, i miei occhi, quelli che quasi nessuno ha mai visto. nel loro fondale c’è uno strano silenzio, una quiete lucida e trasparente che cela un mondo immateriale, ci vuole lo scafandro per vederlo, bisogna sapersi immergere, avere una certa confidenza con l’apnea, con le acque gelide, bisogna saper vedere…
lascio la specchiera del bagno e comincio a scrivere queste parole, come sempre senza chiedermi il perché. non scriverle, queste parole, sarebbe una forzatura. ed io odio da morire le forzature. stralci d’inquietudine, stanotte. stare su una graticola senza un apparente motivo. quando dico “senza un apparente motivo” intendo che le braci sotto la graticola non sono certo ravvivate da problemini quotidiani. no, questo no. inquietudine esistenziale, forse così si capisce meglio. una cosa innata, intrecciata ai miei globuli rossi come un’edera boschiva che non teme il buio, l’umidità, cresce e si mantiene in vita anche senza la minima cura. non ha bisogno di niente e di nessuno. in questo momento penso che quando mi capita di rileggere le cose che scrivo, anche a distanza di tempo, è come se mi guardassi negli occhi. probabilmente perché ciò che scrivo è per me estremamente cristallino. d’accordo, spesso si tratta di sensazioni torbide ma le esterno senza velature, come se leggendo le mie parole vedessi da un piccolo finestrino la mia anima. stanotte la mia anima ha le ali ripiegate, un po’ come la mia Cry seduta sul bianco del pavimento. la mia anima seduta sul pavimento, in un angolino di un’enorme stanza vuota. non vuole essere disturbata da nessuno, chiunque sarebbe inopportuno, qualsiasi sguardo sarebbe indesiderato. a parte il mio. guardo la mia anima. senza disturbare.

lunedì 26 settembre 2011




l'opera di una splendida 14enne, posta accanto a zio Dante (che ha fatto un mio amico). dopo averla sistemata mi sono reso conto che il fanciullo caravaggesco guarda dritto negli occhi di Jeanne, sono esattamente uno davanti all'altra!

P.S.

1-manca la tovaglia buona sul tavolo ma l'ho lavata proprio oggi eheheh

2- infilzata sul van gogh c'è una cartolina da nantucket!

sabato 24 settembre 2011

ancora un passo...

mille anni tra voi mortali e ancora non mi rassegno alla vostra piccolezza. mille e mille anni nel mio giardino, grigio e solitario come un deserto che da solo se ne sta sotto un cielo muto e disinteressato. un acido sorrisino dimora sul mio viso, unico gemellino di un parto mai avvenuto. ghiaccio monotono ed ipnotico suona come un tamburo immaginario, il niente del mondo diventa sempre più chiaro, il niente è mio fratello, il suo sangue mi divora mentre io mi lascio sbranare inerme e delicato. fiori neri sbocciano nel mio buio insieme ad altri che hanno il colore delle ossa senza vita. a modo loro, anche nell’oscurità, sanno cogliere la luce. quando appassiranno quei fiori anch’io morirò insieme a loro.
finalmente la notte incontra il suo silenzio, mi siedo per terra sul balcone e scruto l’orizzonte fatto di buio, lieve il pop-soul patinato dei simply red nella stanza alle mie spalle, insieme all’odore dei solventi e delle tele ancora fresche e alla luce oscillante di una candela. se qualcuno seduto su una stella mi osservasse vedrebbe la mia figura in controluce, rannicchiata quasi in posizione fetale, il mento poggiato sulle braccia che abbracciano le ginocchia. un’ombra lontana con alle spalle una luce artificiale, un puntino impercettibile perso nel suo mondo. non penso a niente, adoro farlo. quando dico che non penso a niente intendo che i miei pensieri non sfiorano le banalità quotidiane, tutti quei piccoli tasselli che formano le giornate m’interessano così poco…
adoro pensare che la mia vera vita non è fatta di quei tasselli, la mia vita non è l’insieme delle mie azioni bensì l’insieme dei miei pensieri, delle mie sensazioni, delle mie incalcolabili sfumature intellettuali. se la distanza dalle persone che mi circondano si concretizzasse potrebbe schiacciare il mondo intero. invece, soffice come un’invisibile nebbia concentrata, gravita nell’aria donando gioia, ebbrezza e dolore. o forse, l’unica cosa che fa quella nebbia, è plasmare la mia anima. mi allontano ancora un pochino, faccio ancora un passetto più in là…

mercoledì 21 settembre 2011






...la stessa ballerina che con leggerezza e disincanto danzava col piede poggiato sulla morte... ...ha deciso di sdoppiarsi ed esibirsi in un saffico bacio che farà sbocciare la primavera...




lunedì 19 settembre 2011

sabato 10 settembre 2011





















la mia Cry snellita, forse, definitivamente
.... ma ovviamente ancora da terminare...


... i due ritratti di... ...di Elvis, mi sa che non li tocco più, come pure gli altri due...








mercoledì 7 settembre 2011

quando conobbi il mio uomo ero una languida diciannovenne fragile e delicata, lui aveva trentatré anni ed era bellissimo. era l’uomo più bello del mondo. immediatamente m’innamorai perdutamente di lui e, sebbene sapessi delle sue numerosissime storie d’amore, sentii che per me provava qualcosa che non aveva mai provato per le altre. il suo nome era amedeo, amedeo modigliani e questi che vi racconto sono i nostri ultimi momenti passati su questa terra. la tubercolosi aveva oramai minato definitivamente il suo corpo, persino la sua bellezza era sfiorita, gli occhi vuoti e infossati in quelle scarne orbite ossute, una tosse continua che non gli dava tregua, sputava sangue, oramai non mangiava più, era sprofondato in uno stato di coma quasi perenne, la febbre alta, gli incubi che lo martoriavano, ogni tanto sembrava si riprendesse per qualche istante, mi rivolgeva la parola per chiedermi un goccio di vino. quando mi rivolgeva la parola il mio cuore scoppiava d’amore, per me era ancora l’uomo più bello del mondo, lo sarebbe stato per sempre. per sempre. da giorni giacevamo uno accanto all’altra, in un sordido materasso sul pavimento, tra un’infinità di oleose e luccicanti scatolette vuote di sardine, bottiglie vuote di vino, sporcizia e pennelli e colori e tele. ovunque sporcizia e degrado. per me era il paradiso. non potevo concepire la mia vita senza di lui, né su questa terra tantomeno in un qualsiasi mondo ultraterreno. l’unico paradiso che potevo immaginare era il luogo accanto al mio uomo, al mio amore, al mio amedeo. passammo diversi giorni in questo stato, nostra figlia jeanne l’aveva in cura una balia in una casetta di campagna, eravamo soli, io e lui, avevamo abbandonato i nostri corpi, eravamo due anime poggiate l’una contro l’altra, in un ultimo abbraccio d’amore. a furia di non mangiare, presto anch’io andai in una specie di stato di trance, ma ero felice e mi stringevo forte al mio uomo, lo stringevo forte e lo guardavo, diomio come lo guardavo, come lo amavo, come lo amavo. non so quanto tempo passammo così, ricordo che ad un certo punto la porta del nostro alloggio fu sfondata da qualcuno, entrò poco dopo un dottore che disse che amedeo doveva immediatamente essere ricoverato in ospedale, entrarono due barellieri e me lo portarono via. io ero totalmente impossibilitata a fare qualsiasi cosa, restai sul materasso, fredda e immobile come una parete di marmo. me l’avevano portato via, mi avevano portato via l’amore. forse passarono due, tre giorni, di preciso non saprei dire, venne ancora qualcuno per avvisarmi che amedeo era morto. in ospedale, lontano da me. mi accompagnarono a visitare la salma ma io oramai ero un fantasma, camminavo ma già non avevo un corpo, sebbene fossi incinta di nove mesi, dentro di me portavo il secondo figlio di quell’uomo che per me era stato tutto. ora che non c’era più lui non c’era più niente. all’ospedale, quando vidi il suo corpo, non so come riuscii a trovare la forza ma gridai, gridai come neanche mille vedove all’unisono potrebbero gridare, gridai così forte che le persone presenti si allontanarono atterrite. sola con lui, per l’ultima volta. lo baciai sulla bocca con tutta l’intensità del mondo, sussurrai, solo per lui “amore mio, aspettami, aspettami…”. fui accompagnata non so nemmeno dove, ero gelida e insensibile, non sentivo cosa mi dicessero, non vedevo cosa mi attorniava, i miei sensi erano oramai spenti, spenti per sempre. ricordo una camera, forse un albergo, e il corpo di mio fratello che vegliava su di me, ogni tanto mi diceva, credo, “cerca di dormire, jeanne, dormi, dormi…”. alla fine, stremato, si addormentò lui. mi alzai, senza paura, senza indecisioni, senza coraggio, non avevo più nulla. mi alzai, aprii la finestra e guardai i cinque piani di vuoto. quel vuoto m’infastidì, mi sedetti dandogli le spalle, a quel vuoto. seduta sulla finestra, alle spalle quel vuoto, davanti a me nulla. “amore mio, arrivo… aspettami, amore mio…. arrivo.”. chiusi gli occhi e mi lasciai andare all’indietro. “… eccomi amore mio.”.







giovedì 1 settembre 2011

la mia splendida dama ottocentesca non mi abbandona mai, è come un’ombra, sebbene qualche volta non la si veda è sempre lì, al mio seguito, fedele e affezionata come niente al mondo. la mia solitudine è un crimine contro la società, un crimine che dà gioia e tormento, mi nutro di entrambi, della gioia e del tormento. adoro pensare che le rotelline degl’ingranaggi della mia vita siano tutte ingarbugliate senza troppa logica. per quasi tutti la felicità equivale ad oliare bene gli ingranaggi e far sì che funzionino in maniera precisa e meticolosa. la costanza e la regolarità dell’ingranaggio infondono sicurezza e tranquillità, consentono una navigazione quieta, lontana dalle tempeste e dagli spuntoni rocciosi. io resto nelle mie acque, profonde e imprevedibili, grigie come un cimitero, azzurre come un pensiero, blu come l’anima quando sta per giungere la notte. uragani e armonie musicali si alternano sulle mie vele, graffiando, a volte accarezzando la mia pelle abbronzata che è come un legno stagionato e secolare. vado incontro al buio, alla tempesta, alla notte, al fuoco e ai coltelli. alla deriva. meravigliosamente, assolutamente, semplicemente SOLO. mi faccio del male, come se mi tuffassi nel bel mezzo di un sole accecante. mi brucio, mi scortico, m’incendio, mi graffio fino a sentire il sangue che scorre sulla mia superficie rinsecchita. mi graffio con dolcissima violenza. sprofondo nel mio buio. come morire, come non sentire, come sprofondare, come morire. addio.