domenica 27 ottobre 2013

immaginate una stanza bianca, un hi-fi che riproduce una musica di un piano che non conosce interferenze, luce gialla morbida che distrattamente e mollemente tende all’arancio. nella stanza un pagliaccio. un pagliaccio che si fa del male, scalfisce la sua scorza e lo fa felicemente, lieto dell’assenza di spalti e pubblico e applausi da strappare per contratto. un inferno gelido e bianco col silenzio di un piano che sospende il tempo, la sua dannazione, la sua solitudine è confortevole in maniera tagliente, un abbraccio dell’unico essere che non ha mai smesso di vederlo, fin dalla nascita. sid e nancy e layne e modì jim e pam sono dilettanti. sotto i riflettori ha l’energia per danzare, recitare, nel chiuso della sua stanza è un meraviglioso rottame arrugginito. un meraviglioso. rottame. che si spalma addosso tutta la ruggine del mondo. tutta la gente non sospetta nemmeno un granello di quella ruggine celata sotto una spessa coltre di cerone bianco. una campana in lontananza. sarà tempo di morire?

martedì 22 ottobre 2013

… questione di una manciata di minuti e il giovane diventò vecchio, si ritrovò a contemplare le incrostazioni sul suo corpo fiaccato dai secoli che gli avevano presentato improvvisamente il conto su un piattino di rame leggero e ammaccato come un reduce di mille e mille battaglie. pensò alla sua vita come ad una lunghissima guerra senza scontri e senza caduti, pensò al tramonto che gli parve l’immagine più adatta da pensare in quel momento. gli sembrò che distaccarsi dalle macchine, dagli automatismi, dagli ingranaggi che incatenano gli umani fosse stata forse la cosa più intelligente che avesse realizzato. il tramonto era nella sua testa ma, dopotutto, tutta la sua vita era un lungometraggio girato e montato dentro la sua scatola cranica, una lunga serie d’immagini da non condividere con alcuno. se nel paradiso non esiste dolore lui non c’ era mai stato in quel posto, scoprendosi vecchio si accorse di assomigliare a quelli che erano stati i suoi eroi appassiti, si ritrovò ad ammirarsi e a compiacersi della sua senilità ingiallita come un foglio di carta segnato da lettere d’inchiostro che nessuno legge da tempo immemore. pensò al vecchio fucile da caccia di suo nonno, quello che gli era sempre stato promesso fin da bambino “quando muoio quello lo lascio a te” e che invece qualche stronzo di parente si era arraffato, mentre le bare vengono calate sottoterra gli avvoltoi aguzzano la vista e affilano gli artigli. “con un fucile ci si potrebbe spararsi” pensò. pensò a tutte le volte che era stato gentile con le persone incontrate e se ne rammaricò. gli venne una forte voglia di cosmo, saltare nel buio stellato, nuotare nell’aria nera senza peso. se la scolò tutta la boccetta, un’infinità di gocce di buio nero silenzio. buio. nero. e silenzio. 

giovedì 17 ottobre 2013

il tamburo di un pianto poi un soffice lamento ed ecco che spicca il volo il silenzioso sorriso funebre di un notturno pagliaccio che respira come il battito d’ali di un pipistrello sopra un deserto immaginario. le candele sono accese e bruciano aria la mia aria che mando allegramente all’aria. sorseggio un piccolo calice di porto sì d’accordo lo ripeto sempre non mi fa impazzire il porto ma ha per me un irresistibile fascino letterario che mi fa dialogare con la splendida scrittura di hemingway. mi piace veleggiare sulla scrittura di chi sa scrivere veramente dopotutto sono un battello un battello ottocentesco e i venti boreali e le acque salmastre e le mille e una tempeste lasciano il loro segno sul mio scafo epidermico che invecchia come invecchia una buona imbarcazione che regge il mare sino al suo ultimo viaggio che sarà oggi o domani o tra una manciata di giorni. la morte spaventa tutti spero di essere il primo umano a non spaventarsi davanti ad essa spero prenda le sembianze lei della mia splendida dama ottocentesca scheletrica e premurosa dama che mi accompagna da sempre dalla nascita sino alla fine (che bello scrivere di getto schizzate di parole in una manciata di secondi senza soffermarsi per domandarsi se l’abito indossato sia più o meno dignitoso agli occhi di chi leggerà). ho voglia di trafiggermi con la spada acciaio freddo e sangue caldo e sorridere acceso di un’allegrezza che non saprei spiegare. e il non saperla spiegare riguarda due cose: il fatto con non possiedo la capacità di scrivere come vorrei e il fatto che la gente è un ammasso di alieni o l’alieno sono io che poi è la stessa cosa. vorrei trafiggermi con la mia spada questo è quanto e se non lo so spiegare meglio be’ fanculo alle spiegazioni. il mio scafo che poi è il mio scheletro rivestito di pelle è sempre più sciupato e corroso dalle intemperie ma non per questo rinuncio a solcare i mari miei interiori. galleggio ancora e sino a quando lo potrò fare veleggerò disinteressandomi delle luci costiere. 

[p.s. mentre posto queste parole mi rendo conto che questo è il mio 500esimo post. così, per la cronaca.]

domenica 13 ottobre 2013

nessuno li vedrà o avvertirà mai, i miei lupi, quelli che mi tengono sveglio anche stanotte. gli altri a mezzanotte sono a letto, dormono a meno che non abbiano qualche preoccupazione o malessere passeggero. i lupi che rovistano tra le mie ossa, gli altri non sanno nemmeno cosa siano. stanotte piove e i lupi gironzolano affamati nel mio bosco. la pioggia bagna i capelli e riga il volto pallido della mia dama ottocentesca. io mi faccio del male, lascio che i lupi addentino le mie carni e mi graffio fino a sanguinare. dopotutto è lo stesso gesto. sono sopravvissuto ad un disastro aereo gettandomi nel vuoto, sotto c’era il mare, attraversando a nuoto un banco di nebbia sono giunto ad una banchina di cemento dove c’erano persone che mi hanno accolto con un applauso e la loro accoglienza, la loro presenza mi ha schifato. ho detto loro “scusate, devo avere sbagliato sponda!”. certe volte, nei miei sogni, uso una tale ironia nei confronti della gente e del mondo intero che mi sveglio per le troppe risate. quando mi sveglio così sono così struccato che la mia pelle ha il colore del borotalco e il profumo della luna. 

mercoledì 9 ottobre 2013

splende una bella luna tonda nel mio soggiorno. e passa un treno senza voce. e un pagliaccio a cavallo che gioca a fare il cowboy. dall’alto mi vedo sorridere seduto sul pavimento come il peccato che come un virus s’insinua nelle vene della gente. ho voglia di travestirmi senza doverlo fare e mi trucco usando il bianco il nero e il rosso, quasi come se fosse la prima volta. gioco a saper volare senza paura di schiantarmi. è una notte perfetta, o quasi. tutte le persone che m’interessano, in qualche modo, hanno volti in bianco e nero. questa luna quassù ha l’aspetto di un assassino, impossibile non sorriderle, è una splendida bugiarda, una bambola che ti fa sentire il sapore dell’infanzia. il soffitto mi crolla addosso senza fare né polvere né rumore o danno alcuno. quasi in silenzio. vorrei trafiggermi con una spada ma senza sporcare troppo in giro. mi tatuo con i miei colori, ma dall’interno. ciò che traspare all’esterno è un sorriso beffardo. sono un quieto selvaggio quasi come queequeg il ramponiere. la luna nel mio soggiorno, ora me ne rendo conto, è la mia splendida dama ottocentesca. Lei che non mi lascia mai, magari se ne sta qualche volta in disparte, mal sopporta il caos e i belati della gente. ciò che ci lega è una forma di romanticismo misto ad una parentela di sangue. la mia unica parente. non ho nessun altro in questa terra. dopotutto Lei nemmeno appartiene a questa terra.

venerdì 4 ottobre 2013

che vomito la gente, guardano paperissima, ho appreso che balotelli pubblica libri, ho persino scoperto che esistono le intere stagioni in dvd de il grande fratello (brrrr). ecco perché la gente d’intelletto sopraffino tende ad isolarsi o perlomeno a non immischiarsi con la plebaglia. penso ai meravigliosi intelletti quattrocenteschi fiorentini, il poliziano, marsilio ficino, pico della mirandola, leon battista alberti, il botticelli, cristoforo landino, il boiardo, il pulci, un’elite di somma raffinatezza intellettuale e tutti gli altri a fare in culo. sogno un’esclusiva società segreta di cui solo io faccio parte. e tutti gli altri a fare in culo. oltre agli apici intellettuali ammessi anche veleni, violenze e tossine, spruzzi di sangue e cadaverici pallori, pallottole e pugnali, chimici colori e distanti, graffianti sorrisi clowneschi. vorrei avere più soldi per mandare con maggiore clamore a fare in culo il mondo intero. a fare in culo il mondo intero. rinserrarmi in una privilegiata corte battelliana di cui io sono il principe, il poeta, il giullare e il mecenate, l’ispiratore e il fruitore di vertici puramente intellettuali. ieri ho letto in una tirata il simposio di platone. ispirati discorsi fantasiosi a ruota libera, chiusi in una stanza insieme ai fumi dionisiaci e il mondo chiuso fuori. impossibile non pensare alle mie bacchiche cenette adolescenziali, duravano una notte intera, ho trascorso buona parte della mia adolescenza in quel modo, il nostro svago era l’eccesso sfrenato e la cosa migliore era tenere a debita distanza il mondo cretino. le mie cenette notturne adolescenziali, mille e mille gemme raffazzonate alla bell’e meglio… che meraviglia. sono innamorato della mia adolescenza anticonformista. 

martedì 1 ottobre 2013

come ho già detto più volte il porto, che nemmeno mi piace più di tanto, mi dà una sensazione così letteraria, sicuramente colpa, anzi merito, di hemingway, uno dei miei eroi, uno che scriveva da dio (la scoperta dell’acqua calda!). sorseggiarlo quando ho voglia di scribacchiare è quasi come leggere rimbaud durante un viaggetto vagabondo, seduto su una panchina da qualche parte nel mondo. scribacchiare è meglio di qualsiasi tv, di qualsiasi uscita con conoscenti a cui fingi d’interessarti. è raschiare o accarezzare la propria anima. inutile dire che adoro farlo. anche meglio delle terme. oggi mi hanno proposto di andarci. a me! acquistare il biglietto per una parvenza di benessere interiore. oramai si paga il biglietto per qualsiasi cosa, per andare in spiaggia, persino per pisciare (nella stazione della mia città i cessi sono a gettone). quando ero adolescente andavo a nuotare in un fiumiciattolo con alcuni coetanei, probabilmente la cosa era particolarmente seducente perché tutti i genitori dicevano ai loro figli “guai a te se vai a nuotare in quel posto là!”. e noi ci andavamo e ci sentivamo in qualche modo splendidamente selvaggi. anche un po’ liberi. e lussuosamente disubbidienti. decisamente meglio delle terme. erano le nostre terme stupendamente illegali. mentre scrivo penso che quando parlo in quest’angolino dei miei sprazzi adolescenziali è come se mostrassi alcuni spezzoni della mia giovinezza in bianco e nero. bello. penso a ciò che diceva uno dei miei eroi “penso che da giovani tutti debbano divertirsi. a me non capitava mai”. be’, fine dello spezzone in bianco e nero.
ogni tanto mi prende una certa voglia di romanticismo (credo di essere a modo mio un romantico) e se penso alle probabilità che possa innamorarmi di una persona credo che sia più probabile che balotelli pubblichi un saggio sullo zarathustra di nietzsche. quando mi prende questa voglia è una voglia di piangere, di preoccuparmi per qualcosa che abbia un corpo mmmm cosa sto scrivendo? conosco solo corpi vuoti, inutili, così privi di alcun interesse. adesso dalla notte sono sbucati un po’ di folletti che mi attorniano e mi fanno compagnia, sono esserini velenosi e innocenti, sorrido e seduto sul pavimento lascio che mi danzino attorno, quasi allegri. forse pensano che io non li comprenda. benvenuti nel mio mondo. loro sanno di giovinezza e l’anagrafe non c’entra nulla. sono stelle cadenti in un blunotte così fondo, sono splendori mentali, scintille esalate dal falò della scostumatezza psichica. sorrido. e sorseggio un altro goccio di porto.