domenica 27 giugno 2010

penso che l’amore, così come la morte, venga dal profondo di noi. il primo a volte lo indirizziamo verso qualche persona, ma è dal fondo del nostro pozzo interiore che lo attingiamo. la maggior parte delle persone è piuttosto sterile, il loro pozzo alquanto assetato. non parlo della capacità di voler bene ad un’altra persona ma dell’inestimabile, grande amore romantico, quello così magico e inattaccabile, quello che somiglia al sogno adolescenziale, però baciato da una concretezza adulta, da una preziosità ultraterrena. se non lo conoscessi personalmente, sicuramente dubiterei della sua esistenza. parole da innamorato scritte da chi innamorato non è. per questo sono ancora più credibili. se le leggessi scritte da qualche altra mano, diversa dalla mia, probabilmente sarei dubbioso. ma io conosco bene il fondo del mio pozzo, voi siete liberi di dubitare, sghignazzare, burlarvi di queste parole così impalpabili. la verità, forse, è che questo mio credere nell’amore romantico-infinito è la sintesi del mio sentirmi diverso. mai e poi mai vorrei che un innamorato si rispecchiasse in queste parole, dio me ne scampi! probabilmente sarò frainteso, e qui vien fuori un distillato di pura, onestissima umiltà: sarò frainteso perché non so scrivere. qui viene a galla la mia concezione di quello che dev’essere un grande scrittore, ma questa è un’altra storia. amen.

sabato 26 giugno 2010

sono triste e sorrido, triste perchè la mano della mia splendida dama ottocentesca non si allontana mai troppo dal mio viso, sorrido perchè ... perchè siamo vivi quando sorridiamo nel silenzio, quando soffriamo, quando sanguiniamo...
oggi ho voglia di starmene un po' per conto mio (tanto per cambiare ehehehhe ), la mano chiusa a pugno e il viso un po' inclinato, poggiato sulle nocche spigolose, tra mento e guancia, sulla barbetta di cinque o sei giorni... ho uno sguardo così tristemente dolce, poco fa sono andato davanti alla specchiera del bagno per averne conferma: oggi ho degli occhi meravigliosamente tersi e leziosi, due pacifiche nubi che riposano sul trasparente fondale di un irreale lago di luce misteriosa. mi sento beatamente solo come una stella nel cuore di un bosco oscuro, come una lucciola nella più lontana e inimmaginabile profondità del cosmo. una panchina nel cuore della notte dorme solitaria come un'isola. il vociare di una cascata graffia il silenzio senza far male. sono un musicista che cerca di spiegare i misteriosi segreti della morte e dell'amore. nella notte suono inascoltato...

domenica 20 giugno 2010

sorrido riflesso nel mio masochismo. quando mi sveglio sanguinante assaporo la mia bellezza che si fa strada tra le ossa, come una bimba viziosa mi passo la lingua sulle labbra gustando angoscia rovente. mi sento così bello e diverso quando soffro, l’alba mi brucia la pelle mentre i sogni mi corrodono dall’interno, questo il mio risveglio stamani. sorrido pallido e malato, esangue e tremolante. e mi sento così bello, bello e diverso, tagliente e tagliuzzato, corroso e rovente dentro, corrosivo e ghiacciato fuori.

ora notte. fuori aria bagnata, ascolto la tenue pioggerellina cantare con sommessa e gentile discrezione. sotto il trucco sento tutta la mia splendida diversità. adoro sentirla. mi compiaccio dolcemente. il pensiero va alla mia bellissima musa dalle vene di ghiaccio: in un’esplosione del mio sano narcisismo penso che la cosa più bella della mia musa sia io, era il mio sterminato amore ultraterreno che la rendeva una creatura così meravigliosa. si dice che la bellezza è negli occhi di chi guarda, quando la guardavo nei miei occhi c’era la serenità di una mitologica isoletta sperduta, inattaccabile dagli artigli del tempo, dalle manacce degli uomini. e sempre nei miei occhi c’era il sole i cui raggi si diramavano, fino a formare i riccioli dei suoi capelli, le forme della sua carne. una macchina che passa mi distoglie dalle mie fantastiche visioni idilliache. con affilata razionalità mi rendo conto che non c’era nostalgia nei miei pensieri, perlomeno non la solita nostalgia che attanaglia voi comuni mortali. esco sul balcone a seguire la distrazione nata dal rumore dell’auto. la stessa pioggerellina di prima, immensi alberi come palazzi, neri, silenziosi e bagnati. vorrei che il rumore della ventola del computer si zittisse all’istante. divengo un dio capace di plasmare la realtà circostante: spengo il pc. silenzio e notte. il resto è roba mia.

giovedì 10 giugno 2010

l'autenticità è il migliore dei look, più si cura la superficie e più si lascia inaridire ciò che si ha dentro.

mercoledì 9 giugno 2010

una macchia violacea esplosa su una superficie giallognola e intarsiata con mille sottili ghirigori verdi che formano lettere e quadratini, riccioli e faccine. e un foglio manoscritto in cui mi sono sentito vivo, sapete, come le lettere dei film che vengono lette da una voce fuori campo, la voce dell’autore della lettera. ecco, leggendo la lettera ho sentito la voce di chi mi ha scritto che mi parlava in modo familiare. piacevole sensazione. non mi capita spesso di ascoltare con piacere una voce che mi parla ma, dopotutto, non capita spesso neanche d’incontrare una ex-quattordicenne-che ascolta-i-talking-heads. mi rendo conto che sentire la voce di qualcuno che per me è stato importante sarebbe, se non spiacevole, perlomeno insipido, fastidiosamente scialbo. il tempo che passa ricopre inesorabilmente le persone care, ora lontane, di una patina d’indifferenza che affievolisce i sentimenti, una rugiada naturale e opacizzante. il ricordo di una persona cara, quello resta vivido, ma è un’immagine muta e statica, che non ha niente a che fare con il presente. c’est la vie. ora sono immerso nella notte. la solitudine notturna è per me un venticello che accarezza un fuoco, gli dona ossigeno e ravviva l’ardore delle braci del mio animo. la brace a volte scalda e conforta, altre volte brucia e fa male. è pur sempre il mio fuoco, senza di esso sarei un corpo morto. la domanda che in questo periodo va molto di moda è “allora dove andrai in vacanza?”. “ma non rompetemi le palle” mi verrebbe da dire. ed è quello che dico, seppure in toni un tantino più garbati e vaghi. sogno una prolungata notte della durata di quattro o cinque giorni, una persitente notte ininterrotta in un antico paesino desolato. notturne passeggiate senza meta e senza orario, l’anima libera di volteggiare come un pipistrello svolazzante nell’aria fresca e buia, nessuna preoccupazione per l’alba che sarebbe sempre pacificamente distante. la solitudine notturna dà voce al silenzio dell’anima, un silenzio che è un distillato della nostra essenza. chi non ha piacere di ascoltarlo odia se stesso o ha un’anima muta, è dunque un corpo morto che cammina. lascio svolazzare un po’il pipistrello…

saluti notturni dal batt