domenica 29 dicembre 2013

mi raggomitolo nella mia adorata sociopatia. sono un sociopatico con un enorme talento da pagliaccio. a parte il circo adoro starmene rinchiuso in casa senza il minimo contatto con persone. sto così bene solo e nudo e crudo e selvaggio e tagliente come un’amigdala di pietra legata all’estremità di un bastone. seduto sul freddo bianco del pavimento ascolto e riascolto the wall. ascolto e riascolto the wall. là fuori ci sono persone che dicono di amarsi, dicono di stare bene assieme. bah! contenti loro. ogni tanto affiora il pensiero che morirò solo come un cane. e non è un pensiero deprimente come potrebbe sembrare. vorrei morire con lo stato d’animo che ho in questo momento, lo stato d’animo di un pagliaccio che sorride dentro di sé, rinchiuso nel suo Io, sorridente e tranquillo, freddo come un iceberg che nessun arcobaleno toccherà mai. vorrei morire senza manichini che mi stiano attorno. vorrei solo essere ricordato da chi ha intravisto qualche piccolo stralcio di me.


venerdì 20 dicembre 2013

martedì 17 dicembre 2013

sciolgo un po’ di silenzio nella lattina, quella dove c’era l’ananas sciroppata, insieme ad un po’ d’acqua e a qualche goccia di veleno di scorpione, accendo sotto una candelina, sopra ci metto un po’ di alice in chains, altre candeline accese sparse qua e là come galleggianti fluttuanti a mezz’aria nella stanza tutta battelliana. parafrasando il signor omero, nel bicchiere un vino nero come il mare (per lui era il mare ad essere nero come il vino), mi graffio e sorrido e penso che per me nessuna persona ha l’effetto della nicotina. in questo momento m’immagino in bianco e nero, barbetta incolta e un viso anni ’40 0 ’50, strade lucide di pioggia e sentimenti vivi ma appannati da una malinconica pioggerella interiore. nessuno verrà a salvarmi stanotte. dopotutto non voglio alcuna scialuppa di salvataggio. mmmmm ma dov'è la mia 14enne?

giovedì 12 dicembre 2013

è il periodo della felicità, pieno di lucine colorate per le strade e le vetrine, i commercianti si sfregano le mani al pensiero di come le persone si dimostrino a vicenda quanto siano vicine le une alle altre. mi diverte inebriarmi di anticonsumismo nel periodo natalizio. niente mi lascia senza fiato. be’, l’ultima volta è stato davanti agli affreschi giotteschi alla cappella degli scrovegni. alzando gli occhi al cielo, anziché banali decorazioni multicolori al neon, vorrei vedere il solenne simurg che maestoso sorvola le nostre teste. secondo un poema persiano del XIII secolo il simurg, il cui nome significa “trenta uccelli”, era un magnifico uccello che viveva su un albero che generava i semi di tutte le piante selvatiche della terra. un giorno gli uccelli, stanchi di non avere un re, un po’ in crisi di identità, decisero di andare alla ricerca del simurg. attraversarono sette mari, sette vallate, sorvolarono sette alte montagne e si accorsero che il lungo e duro viaggio li stava decimando, erano sempre meno. ad un certo punto si sentirono come purificati dall’estenuante ricerca e dalla durezza del viaggio e si accorsero che erano rimasti in trenta, loro stessi erano il simurg. appresi e apprezzai secoli fa questa storia dal mio amico jorge luis borges, il mio eroe dalla sterminata cultura letteraria. i miei eroi sono le lucine che volentieri appendo sulle vie del mio animo solitario. 

sabato 7 dicembre 2013

un fiume acqua verde opaca inespressiva senza vita, la luce non filtra nemmeno di qualche centimetro sotto la superficie, adagio navigo su una piccola imbarcazione, una via di mezzo tra una barchetta e una canoa, scivolo a rilento, le due sponde sono rivestite di erba di un verde più acceso ma pur sempre spento e statico. un ronzio inesistente accompagna il mio fluttuare indolente, dalla luce del giorno deduco che è un pomeriggio nordico da paese annoiato assuefatto a sorde piogge senza persone sguardi e parole da incrociare. penso queste cose e nient’altro mentre procedo sull’imbarcazione, un apatico non pensare simile ad un volo senza gioia di volare. sogno numero due, a ridosso del primo, questo decisamente più corporeo, tangibile, risolutamente meno poetico: litigo con i miei genitori, con una rabbia così forte che non svanisce nemmeno al risveglio, viene lesa la mia libertà, per motivi anche banali, una lite ordinaria, io sono adolescente e m’incazzo talmente tanto che la rabbia straripa dal mio cervello e mi sveglia, mi sveglio incazzato, incazzato come un leone chiuso in gabbia. il dono più grande che farei ad un figlio sarebbe la libertà, farlo sentire libero.

lunedì 2 dicembre 2013

the addiction

uno dei miei film vampireschi preferiti, il dono oscuro in una rivisitazione filosofica esistenzialista, vampirismo riportato al xx secolo come metafora dell’aids, della droga e del male in generale, il male che come un cancro ossessiona la storia e l’umanità, il male dell’olocausto e delle guerre, il male come un’incurabile e inevitabile malattia che accompagna l’uomo, che lui lo voglia o meno. e ovviamente cristopher walken nei panni del vampiro è perfetto (anche annabella sciorra non è male).
frase finale del film: "l'autoconoscenza è la distruzione del sè"


[the addiction, regia di abel ferrara, 1985]



annabella sciorra