martedì 28 maggio 2013

il porto è dolciastro ma ha il colore del sangue. non amo il suo sapore ma sorseggiarlo mi regala una sensazione prettamente letteraria. le sensazioni sono tutto. se ora con me ci fosse il dottor freud gli racconterei di quanto mi piaccia, nella notte, sul mio letto, a luci spente, pensare di abbracciare una bomba che non si sa se e quando esploderà. nei miei pensieri la bomba è come un siluro di freddo metallo, una grossa supposta rischiosa che abbraccio come un cuscino.  ma, con tutto il rispetto, fanculo al dottor freud. preferisco ricordare la mia conversazione avvenuta in un sogno con rimbaud. in un tavolino all’aperto di una mediocre pizzeria di chissà dove. secoli fa, con la mia bellissima musa dalle vene di ghiaccio, prima che diventasse la mia bellissima musa dalle vene di ghiaccio, passai un’intera notte a parlare di rimbaud. forse la conquistai così, e cucinandole dei filetti di cavallo accompagnati da un buon chianti inglobato in un ballon di pessimo vetro a buon mercato. i ricordi, quelli buoni, hanno lo stesso sapore del porto, un sapore dolciastro che scalda l’animo e somiglia al sangue. le sensazioni sono tutto. quant’è bello il mio calice di piccole dimensioni mezzo pieno di porto. è così musicale. e romantico. e letterario. poetico. sa di camino col fuoco acceso e sincerità da amicizia alcolico-adolescenziale. sa di momento felice punto e stop. ma non felicità a buon mercato, quella in svendita ai grandi magazzini dopo i pienoni prefestivi. felicità come calore e libertà intellettuale. vi confesso una cosa, piccola ma importante. certe volte, quando scrivo qui, penso “ma chissà se qualcuno leggerà queste parole e soprattutto chissà quanto gliene importerà” dopotutto è l’enigma dell’esistenza. 

venerdì 24 maggio 2013

pensieri sparsi


i primi minuti di selling england by the pound, pura libidine.
la notte mi ha cresciuto ben più della mia terrena genitrice.
attendo il concerto padovano di roger waters a luglio.
amo le menti aperte.
la realtà è puro contorno.
ridere e piangere sono la stessa cosa.
bere porto mi fa così tanto pensare ad hemingway.
il sangue del toro la calura spagnola le sbornie vagabonde.
un giorno vorrei fare un ritratto di Dio.
la Letteratura è ciò che innalza il genere umano.
vorrei aver scritto moby dick.
il suono delle campane è un frammento di cielo.
un buco a volte è in grado di riempirti più di ogni altra cosa.
brillare scintillare esplodere senza che gli altri ti vedano.
aborro gli animi che somigliano ad ingranaggi meccanici.
la scienza un giorno ucciderà il mondo.
“pugnale benedetto,ecco il tuo fodero,qui dentro arrugginisci e dammi la morte”.

lunedì 20 maggio 2013

un’altalena, perpendicolare al suolo il circo, ai due estremi i miei abissi. timbro il cartellino e faccio il grigio pagliaccio mimetizzato, appena posso bungee jumping nei miei bui, profonde solitarie immersioni in ciò che voglio, ciò che desidero, che sia una dose di Letteratura, di puro niente, un apocalypse now o il settimo sigillo, scrivere di getto come sanguinare, la mia valvola di sfogo, pugnalata nel costato. o cucinare solo per me un brasato, ascoltare syd barrett in piena notte con cento fiammelline che ondeggiano tra le mie-solo-mie quattro mura, colorarmi ed annientarmi nel mio bosco infischiandomene del tempo e della giornata che attende a due passi dall’alba. stanotte sento i fiori sanguinare (autocitarmi solletica il narcisismo e l’autoironia eheh). comunque li sento davvero. e per dirla tutta “… vedo corpi pallidi, crudi e selvaggi come muffa dalle dita tiepide, lacrime di neve a innaffiare freschi sacrifici”. momento autocelebrativo in una notte solo mia, le mille e una notte mi fanno un baffo, ho vissuto centomila notti tra le sconfinate pareti della mia scatola cranica. centomila notti, quasi altrettante piccole morti. ricordo con affetto le mie notti adolescenziali asserragliato nella mia stanzetta, ad ascoltare notturni programmi radiofonici e a scribacchiare-sanguinare. all’epoca l’altalena consisteva nel fingermi un normale adolescente che faceva le normali cose che ci si aspetta da un normale adolescente. il talento del pagliaccio non mi è mai mancato. per questo nessuno mi conosce sul serio. “sii sempre te stesso”, balle. a nessuno è concesso questo privilegio. forse solo ai mediocri. e ai folli. ad ogni modo il cerone e il nasino rosso sono i miei cupi tendaggi che proteggono un’anima dalla luce della mediocrità. ho l’anima fotosensibile, forse. magari la mia anima pallida ha anche delle deliziose e impercettibili lentiggini, chissà. 

martedì 14 maggio 2013

l'uccello di fuoco


da bambino leggevo e ascoltavo (sui 45 giri) le fiabe, le solite, cappuccetto rosso, biancaneve, cenerentola, hansel e gretel, il brutto anatroccolo. secondo jung le favole sono l’espressione più pura dell’inconscio collettivo, l’inconscio di una civiltà, di una comunità, di un popolo. non mi era mai capitata tra le mani la favola dell’uccello di fuoco. cresciuto di qualche anno mi capitò però tra le mani il cd dell’opera di stravinsky, basata appunto su quella fiaba. e lessi così la favola dell’uccello di fuoco.

un principe sognò una bellissima principessa, al risveglio sentì di essersi innamorato di quella creatura così bella e radiosa e giurò che avrebbe cercato quella donna così bella con tutte le sue forze. lasciò il suo castello e si mise in viaggio, attraversando boschi e montagne innevate. una sera, mentre il sole si apprestava a lasciare il giorno per lasciare spazio alla notte incombente (al tramonto, insomma…. che giri di parole batt!) vide un bagliore sulla sua testa, alto nel cielo; capì che si trattava del leggendario uccello di fuoco e pensò che quella creatura l’avrebbe guidato dalla sua amata principessa, decise quindi di seguire l’uccello infuocato. giunse al cospetto di un ripido promontorio roccioso, l’uccello si librò alto nel cielo e sparì dalla vista del principe il quale, armatosi di coraggio e determinazione, smontò da cavallo e si mise a scalare il promontorio roccioso. giunse davanti ad un agghiacciante, inquietante giardino, pieno di erbacce e soprattutto di strane statue di pietra, alcune raffiguranti spaventosi mostri, altre esseri umani che sembravano uomini veri e propri intrappolati nella pietra. il principe vinse la paura di quelle tremende creature di pietra e vide all’orizzonte un terrificante castello, sentì (la forza dell’amore? boh) che la principessa dei suoi sogni doveva essere imprigionata là dentro e si avviò verso il castello. ad un certo puntò notò l’uccello di fuoco che si stava cibando dei frutti di un albero d’oro, si avvicinò silenzioso e lo afferrò, la creatura infuocata si dimenò e conficcò gli artigli affilati nelle braccia del principe il quale non mollò la presa e riuscì alla fine a domare l’uccello (una scena che ricorda l’addomesticamento del drago volante nel film avatar, che ho visto recentemente per la prima volta… non divagare batt, concentrati sulla fiaba!). mmmm dov’ero rimasto?
il principe si avvicina al portone del castello ma ecco che sente dei rumori minacciosi, si volta e vede che le statue di pietra stanno prendendo vita e cominciano ad inseguirlo allungando braccia scheletrite, tentacoli, artigli e quant’altro. un lampo risplende nel cielo, si apre il portone del castello e compare lo stregone, il signore di quella fortezza, che con un ghigno malefico si rivolge al principe: “sei venuto fin qui per portarmi via la mia principessa, la più bella di tutte, colei che ho scelto per farla diventare la mia sposa?”. in tutta risposta il principe tentò di scagliarsi contro lo stregone ma non ci riuscì perché le sue gambe erano immobili, stava praticamente diventando una statua di pietra. poteva ancora muovere le braccia e si ricordò di una penna che aveva strappato all’uccello di fuoco, la estrasse dalla tasca e la agitò in aria, in un battibaleno l’uccello giunse volando, splendente come un sole, lanciò un incantesimo contro lo stregone e le statue animate che si addormentarono di colpo mentre il principe fu di nuovo in grado di muoversi. “muoviti” disse l’uccello “il mio incantesimo non dura a lungo e tra poco le statue e lo stregone si sveglieranno. devi trovare la cassetta nella quale è contenuto l’uovo che contiene lo spirito dello stregone, scava nel punto che ti indicherò”. il principe scavò nel punto indicatogli, inizialmente con la spada che presto si spezzò (cass di spada di merda, ma con tutti i soldi che ha un principe va a comprarsi la spada all’ikea?), continuò a scavare con le mani nude fino a quando trovò la scatola. intanto le statue cominciavano a rianimarsi e un occhio dello stregone si era già riaperto, il principe tentò invano di aprire la cassetta mentre le statue gli erano già addosso e lo stregone brandì con ferocia il suo bastone magico, l’uccello di fuoco lasciò cadere dall’alto una sua penna che, posandosi sulla cassetta la aprì. il principe afferrò l’uovo contenuto all’interno della cassetta e lo scagliò contro una roccia, invano le braccia e i tentacoli dei mostri tentarono di salvare l’uovo che si frantumò contro la pietra. in quell’istante i mostri e lo stregone sparirono e il giardino cambiò totalmente aspetto, comparvero tanti uccelli cinguettanti nell’aria, mille fiori sbocciarono esalando un gradevole profumo e le statue con sembianze umane diventarono uomini, si spalancò il portone del castello dal quale uscirono dodici principesse che andarono  felicemente incontro ai loro innamorati. alle spalle delle dodici principesse giunse la principessa più bella, quella sognata dal principe, i due si abbracciarono mentre sopra di loro volava l’uccello di fuoco, spendente come un accecante sole dorato.

martedì 7 maggio 2013

poesia senza versi. nella quotidianità mi capita di vedere persone condannate, persone con la morte dentro. una morte che ti è cresciuta dentro senza neanche farti la cortesia di chiederti il permesso. si chiama cancro. un bambino indesiderato che ti cresce dentro nutrendosi della tua carne, succhiandoti i giorni futuri. le persone dotate di un minimo di cultura o quelle accarezzate dalla mano dell’introspezione vivono la loro gestazione nel silenzio. in silenzio danno da mangiare ai piccioni, forse è come se tentassero di regalare un po’ di vita, non so. il diavolo che dà la mano alla filosofia, loro due che danzano assieme, loro due che vanno in giro a braccetto. quando sai di essere condannato le persone che ti sono vicine, se ce ne sono, sono lontane. sei solo col tuo ultimo giro di walzer. che non è nemmeno tuo. io, immerso nella mia distanza, nella mia diversità, vedo tutto ciò.  quando c’è il silenzio c’è una certa nobile dignità in quell’attesa. una gravidanza che porta alla morte. c’è un sentore di poesia in tutto ciò. io lo sento, io lo vedo. in silenzio…

domenica 5 maggio 2013

le relazioni interpersonali sono inevitabili. il mondo è pieno di gente e qualsiasi cosa faccia, in qualsiasi luogo, c’è sempre qualcuno pronto a dire qualcosa, a guardarti, a cogliere le tue parole o il tuo silenzio.  le persone sono assetate di consenso stima considerazione apprezzamento rispetto. distaccarsi appena possibile  da tutto ciò rifugiarsi in un angolino dell’anima in cui non ci sono né occhi né orecchie indesiderati dove il denaro non conta nulla dove il superfluo è bandito. il mio vezzo preferito.  

mercoledì 1 maggio 2013

mio nipotino ha un meraviglioso incorporeo pallore molto british-ottocentesco. lo vedo quattro cinque sei volte l’anno e penso che mi veneri, seppure a modo suo. imita ciò che faccio e ciò che dico (si tratta perlopiù di esultanze o imprecazioni sugli spalti dei palazzetti durante le partite della nostra squadra di basket). ha il pallore che attribuisco mentalmente a john keats o percy bysshe shelley. il più forte istinto della razza umana è l’istinto alla conservazione alla sopravvivenza. fondamentalmente rappresentato dall’istinto di conservazione dalla volontà di voler allontanare o scacciare la morte. ma anche dalla volontà di mettere al mondo degli eredi. sopravvivere alla morte lasciando sulla terra manciate di geni consanguinei. la mia bellissima musa dalle vene di ghiaccio avrebbe potuto partorire un battellino con la bellezza di una musa, un pallore lunare degno di john keats. la mia bellissima musa dalle vene di ghiaccio, lo dice il suo stesso nome, è bellissima.
 ad ogni modo il fato mi ha concesso l’esistenza di una 14enne nata a distanza. la mia splendida 14enne ha un meraviglioso pallore mentale. è piovosa e autunnale, nietzscheana e, nel sangue, ha il lontano ululato dei lupi. gli umani tendono a lasciare semi sul suolo prima di schiattare. infrango anche questo tabù. di me non resterà niente. una manciata di parole in attesa di essere spazzata via dalle folate del tempo....