venerdì 30 novembre 2012


fanculo alla modestia fanculo alla finta ipocrisia sono meraviglioso mi sento bellissimo. mi lascio respirare dall’aria un unico coriandolo scolorito senza voce. sorseggio lacrime infernali con lentezza demoniaca, morboso e condannato come un vizio sputato dalla bocca di satana. muoio vivo e muoio con alternanza meravigliosamente disinteressata. brandelli di vita sprofondano lenti in un morbido morire soffice. odio amore odio amore odio amore.
sono solo, odio e amore non esistono, solo solitudine da celebrare nel silenzio di un astratto romanzo di vetro e cemento e gelida aria invisibile ai vostri occhi. invisibili brandelli di umana mediocrità evaporano con lentezza dalla mia pelle. la mia pelle ora libera di respirare senza doversi per forza turare il naso. le persone che incontro ogni giorno sono scheletri rivestiti di sintetica pelle esanime, mi stupisce pensare che se dovessi farle a pezzetti (de andrè…) uscirebbe persino del sangue. chissà da dove nasce la mia intima solitudine, se esiste un dio forse quando verrà il mio momento lui me lo dirà. la gente normale (alias mediocre, modesta, limitata) quando è sola sta male. a detta della gente normale nessuno dovrebbe mai essere solo. la solitudine vista come malattia. solo che sono tutti gli altri ad essere malati. mi piace assaporare in solitudine i miei pensieri. un vizio che ho sempre avuto. esiste un tipo di stupidità primordiale che è così bella, peccato che la gente che mi attornia sia stupida e basta, senza quella stupidità infantile meravigliosa, quella stupidità che ti fa parlare e pensare senza pensare. roba da poeti, da matti, da derelitti lietamente abbandonatisi alla deriva. immagino nella stanza, davanti a me, una grossa bolla come di sapone. dentro la bolla c’è un fulmine, un fulmine vero, una violenta scarica di luce affilata e potente come una pugnalata compiuta dalla mano del sole. oltre al fulmine dentro la bolla c’è una nave. sul ponte della nave il capitano Achab impreca contro dio contro il cielo contro il male. per lui il male è bianco. mi viene in mente una cosa che disse tom waits: “il male non esiste. esiste Dio che ogni tanto si ubriaca”. 

mercoledì 28 novembre 2012


Guardami fisso negli occhi, fissa le mie ciglia nere come il più profondo e orrendo incubo che abbia mai sognato, fissami e dimmi che mi ami, io ti rispondo guardandoti crudelmente senz’anima. Fissa le mie splendide ciglia di un nero senza miele o sorrisi, fissami e dimmi che mi ami, dimmi che vorresti che ti uccidessi, ti ucciderei alla due di un sabato pomeriggio cittadino spargendo caramelle colorate sul pavimento. Voglio che mi dica che vorresti essere ucciso da me, voglio che mi dica che moriresti per essere ucciso da me. Chiunque tu sia guardami. Fissa le mie splendide ciglia nere come cigni senza pensieri in un lago nero senza fondale. Guardami e dimmi che mi ami. Dimmi che mi ami e che vorresti che ti uccidessi. Ucciderei chiunque e non ucciderei nessuno. Adoro sentire il mio squilibrio che mi parla come un lampo che si accende quando vuole lui senza chiedere nulla e nessuno. Guardami fisso negli occhi e osserva i miei occhi fissarti senza emozione. Vorrei morire adesso pallida e diciannovenne come nessuna. Adoro sentire il mio non sentire niente. Guardami e dimmi che mi ami. 

domenica 25 novembre 2012

Charles Bukowski


Continuo ancora a scommettere sui cavalli ma da qui non è la stessa cosa. Il denaro qui non conta un cazzo e scommettere senza denaro è come scopare senza l’uccello. Perlomeno, quando voglio stare solo non ho grosse seccature, nessuno qui viene a bussare alla mia porta per cercare di vendermi l’enciclopedia britannica, o per reclamare i mesi di affitto arretrati, e non ci sono nemmeno zoccole convinte di essere più belle di quello che sono che ti fanno scopare ma poi, non so, forse per ripicca o forse è una questione fisiologica, vallo a sapere, poi iniziano a rompere i coglioni e devi sbatterle fuori di casa, e i vicini poi cominciano a rompere anche loro i coglioni per il baccano e tu devi mandarli a fare in culo. Una vera fatica! Nonostante la mia vita sia stata una sequela di sbornie, risse, casini e guai di ogni tipo, sapete, io ho sempre amato la solitudine, insomma se nessuno veniva a rompermi i coglioni io ero felice. Ma per pagare l’affitto, fare la spesa, il pieno alla macchina, scommettere ai cavalli, non puoi fare l’eremita, se non sei un fottuto sceicco ti tocca frequentare persone, ti tocca guadagnare i dollari col sudore per poi tramutarli in bottiglie di vino, scontrini da gettare per terra all’ippodromo e cose così. Probabilmente la maggior parte delle persone che mi conosceva pensava che fossi uno stronzo ma sapete che vi dico? Io penso che la maggior parte delle persone siano degli stronzi che, anziché farsi un tuffo nella tazza del cesso per poi fare una crociera nella rete fognaria, deambulano per strada. La stima è reciproca come vedete. La cosa che più adoravo fare, oltre che ubriacarmi, scopare e scommettere sui cavalli, era scrivere di notte, ascoltando musica classica alla radio. Scrivevo quello che vedevo, stralci di svariata umanità priva di fronzoli letterari, ho sempre pensato che un genio è un uomo capace di dire cose profonde in modo semplice. Per scrivere mi bastava guardare per strada, dopotutto nella vita ci sono tre università: le puttane, le carceri e gli ospedali. E perché scervellarsi per inventare storie quando la gente è il più grande spettacolo del mondo. E non si paga nemmeno il biglietto.

venerdì 23 novembre 2012


è durato un attimo pochi secondi ma ho pianto ho pianto ed è stato bellissimo mi è piaciuto da morire. ascoltavo in cuffia (le meravigliose piccole bose in prestito) un cd, niente di particolarmente ricercato, forse vi stupirà sapere che si tratta di irene grandi, e la canzone non mi ricorda niente di sdolcinato, un pianto semplice e brevissimo, vitale e bellissimo. la cosa importante non è la canzone o la durata del pianto, le lacrime, loro erano così belle, diomio così belle. lacrime senza la preoccupazione di cadere per terra, lacrime prive di motivazione, lacrime che non devono chiedere scusa, lacrime che non si preoccupano di avere un nome. ora non mi dispiacerebbe poi tanto uccidermi, bianco con una specie di sorriso dagli zigomi rigati, sorrido con l’anima parcheggiata pacatamente in una zona senza ombra e senza vento e senza pioggia e senza tristezza. almeno non la tristezza che intendete voi. mi sento bello come mi sentivo bello quand’ero un ragazzino e pregavo per non cambiare mai e sentirmi sempre come mi sentivo allora. sapete una cosa? quest’istantanea che vi mostro, queste parole sono semplicemente un taglio. uno schizzo del mio sangue. 

mercoledì 21 novembre 2012


Mentalmente volteggio nella mia stanza su un’altalena celestialmente inesistente, sono una dolce pallida ninfetta cannibale, ho fame di terribili immagini che sconvolgerebbero gli umani, bianche culotte maglietta bianca e impallidita pelle diciannovenne. Sono la più pallida la più bella diciannovenne del mondo. Tutti i restanti esseri del pianeta piccoli esseri a metà con la loro piccola luce il loro microbuio e magari stanno anche male in quelle mini pozzanghere di angosce diluite e annacquate. Dondolo senza sosta con Sister Morphine in eterno repeat. Piccoli sorsi ritmati di William Lawson’s direttamente dalla bottiglia verde trasparente. Spengo la luce al buio cammino nel mio monolocale al tredicesimo come un’affamata tigre ingabbiata metto I got the blues in repeat, vorrei essere amata da tutte le persone del pianeta all’unisono, senza mai essere sfiorata, tutti a guardarmi col naso appiccicato al vetro della mia portafinestra. Alzo il volume piccoli sorsi ritmati di William Lawson’s canto alta e maleducata. Amo il mio bellissimo corpo bianco e slanciato, esangue bellezza incontaminata come un’insensata anonima lapide di marmo bianco nel bel mezzo di un’isola spartitraffico in un incrocio pregno di vitalità grigia di smog e cemento e lamiere che procedono con ripetuti e ipnotici singulti privi di ogni forma di passione. Amo il mio bellissimo corpo bianco e magro da sedare con amore. Una capsula rosa e blu trenta gocce di soporifero siero disciolte in piccolo bicchierino con del succo d’arancia altro sorso di William Lawson’s direttamente dal vetro verde trasparente. Accendo una grossa candela color avorio accendo una sigaretta accendo C’mon Billy di PJ Harvey. Cammino per la stanza scalza e bellissima come una dea diciannovenne in un mondo che ha dimenticato ogni mitologia. Micromonetina bianca di gesso benzodiazepinico deglutita con un sorso di Lawson’s. Mi siedo sul pavimento bella come una dea. Mi alzo prendo una birra e mi risiedo sul pavimento. Bella come una dea. Squilla il telefono è Senia “una di queste sere usciamo e ci beviamo la notte”. “Vorrei” le rispondo “vorrei piangere abbracciando triste una bianca sconosciuta lapide di ghiaccio”. Senia: “sono nuda appena uscita dalla doccia, indosso solo un’esuberante quantità di mascara sul mio sguardo”. Le dico “una di queste sere usciamo, sì. Ho voglia di vomitare fredde e chirurgiche cattiverie su chiunque cerchi di attaccare bottone”. Senia: “Cerco di recuperare anche Lara. Tra poco dovrei uscire con uno stronzetto che mi fa il filo a lavoro. Credo gli darò buca. Preferisco stare a casa, ho voglia di bere musica e dormire, senza respiri estranei sulla mia carne”. “Una di queste sere usciamo, sì. Fanculo Senia”. “ Ok, ci sentiamo. Fanculo a te Cry”. 

lunedì 19 novembre 2012


Piove come se la città il mostro sconfinato di cemento asfalto e persone sanguinasse solitario nel suo dolore inascoltato. Soffrire da soli è una cosa così forte, pura, roba rara nel grande mare dell’umanità. Piove sull’asfalto sul cemento sui tetti sui vetri sulle auto. Io nel mio monolocale al tredicesimo ascolto la pioggia. Ascolto la pioggia solitaria come nessuno al mondo. Ho riversato il contenuto di un intero flaconcino di bromazepam in un bicchiere di jack. Lo scolo d’un fiato. Tutto l’amaro del mondo va a farsi fottere transitando nelle mie budella come pioggia sporca ingurgitata dalle fogne della città avvolta nella notte. Stanotte morirò, in qualche modo.



giovedì 15 novembre 2012

Willy il Coyote


Qualcuno qui, nella presentazione di questa sfilza di personaggi, elogiava la capacità di non arrendersi: chi più di me incarna questa qualità? Trovatemi un nome e vi ficco un candelotto di dinamite in ogni orifizio del corpo! Motociclisti e piloti di formula uno, paracadutisti e appassionati di rafting, nessuno come me sfida quotidianamente cadute e capitomboli, crolli, frane, esplosioni, fallimenti, fiaschi, umiliazioni e figuracce. Qualcuno ha detto che la grandezza non sta nel non cadere mai bensì nel sapersi ogni volta rialzare. Chi meglio di me sa rialzarsi dopo essere precipitato in una gola rocciosa, un profondo canyon, magari con uno spuntone di roccia che ti piomba dritto nella scatola cranica? Ma la colpa è delle dannate attrezzature che mi fornisce la ACME inc., sempre inadeguate e rigorosamente difettose e scadenti, prima o poi dovrò decidermi a cambiare ditta. Sapete, a voi le mie inesauribili rincorse dietro quel dannato pennuto, in lungo e largo per tutto il deserto, potrebbero sembrare un gioco divertente ma sappiate che io lo faccio solo ed esclusivamente per fame! E’ l’istinto del cacciatore (e i gorgoglii del mio stomaco) ad aguzzare il mio ingegno. Sogno di acciuffarlo, prima o poi, quell’odioso uccellaccio, sua madre si sarà indubbiamente congiunta con Speedy Gonzales, ne sono certo. Vi prometto che prima o poi lo acciufferò, ne sono certo. Così come sono certo anche di un’altra cosa: che non mollerò mai.


domenica 11 novembre 2012



”Scendi, ti aspetto”. Scendo. Senia mi guarda con i suoi occhi verdi senza sorridermi, il volto dolcemente pienotto reso lunare da un fondotinta lumière by chanel, indossa femminili jeans strettissimi e un giubbino corto di pelle rossa. Senia ha 23 anni, lavora in una profumeria del centro, ha un pregevole e lascivo fondoschiena molto donna licenziosa e sensualmente sviluppata. E’ una delle mie due amiche. Poi c’è Lara. Poi c’è Micky, vabbe’, ma lei è un’altra cosa. Entriamo nel taxi, io e Senia, l’abitacolo odora di anonima e indistinta umanità provvisoria. La notte scorre attraverso il finestrino illuminata dai mille occhi di cemento e vetri e semafori e fanali e insegne splendenti come enormi lucciole concepite in un laboratorio di un dio del marketing. “Andate a divertirvi?” fa il tassista rivolgendosi indistintamente a me o a Senia. “Andiamo a fare i cazzi nostri” rispondo io con voce meravigliosamente distratta e tono meccanicamente ipnotico. Scendiamo davanti al Sailor Moon, entriamo, “siete in due?” “siamo in due, i nostri angeli custodi che non vede alle nostre spalle stanno in piedi”, veniamo scortate ad un tavolino con una candela che muore lenta in una bara di vetro dalla forma ovale e allungata, una band suona musica pumpkins-mudhoney-soundgarden, “cosa vi porto?” “una vodka doppia al limone, un bloody mary e una tequila” dice Senia, “un irish coffee, un rum e una vodka doppia per me” faccio io, “basta così?” chiede sarcastico il ragazzo, “per il momento vogliamo stare leggere” rispondo io. “Lara” mi dice Senia “forse riesce a raggiungerci più tardi al Rock, aveva un po’ da studiare”. Lara ha diciotto anni, uno e sessantacinque, cinquantunoequattrocento, studia lettere classiche e vive con i suoi. Senia e Lara sono le mie due amiche. Poi c’è Micky ma lei, vabbe’, è un’altra cosa.

Rock Island, io Senia e Lara al tavolino, suonano forti ed energici i Placebo con Nancy Boy, la voce di Brian Molko è meravigliosamente androgina e nasale, Lara è reduce da un’immersione nella consolazione della filosofia di Severino Boezio, Senia è alle prese con un tizio che comincia ad essere troppo assillante, tra noi Senia è quella che più si fa avvicinare dagli esseri umani di sesso maschile ma quando la vicinanza comincia a somigliare a qualcosa di vagamente sentimentale le prende qualcosa simile all’orticaria, io sono uno spuntone di ghiaccio rivestito di freddo e lucido metallo diciannovenne. Io Senia e Lara al Rock Island, la cosa che principalmente ci unisce è che vogliamo mandare a fare in culo il mondo intero. Mandare. A fare in culo. Il mondo intero. Gli studi, il lavoro, il mondo intero. Tutto a fare in culo con incantevole sfrontatezza distaccata. Un bloody mary due grappe due whisky un irish tre tequila tre amari tre daiquiri. Suona Horses di Patti Smith, lei canta recita soffre vive sospira sussulta scalpita. Noi tre. E il mondo a fare in culo.

Lara: “Sono nervosa, angustiata, angosciata, vorrei staccare la spina per un po’”.
Senia: “Ne ho le palle piene. Ora ho voglia solo di stare qui con voi”.
Io: “Sono elettrica, devo sedarmi in continuazione per riuscire a respirare con i ritmi che un corpo normale richiede”.
Scoliamo tutti i liquidi contenuti in vetrosi bicchieri dalle diverse forme allungate.
Lara: “Sono stufa. Quando finisco con questo esame vorrei prendermi una pausa ma non un viaggetto o una vacanzina. Vorrei respirare un po’… Pensavo…. Sarebbe possibile trasferirmi per qualche giorno da una di voi? Vivere come voi, anche se per qualche giorno… Si potrebbe fare?”.
Senia, con un accenno di sorriso: “Per me va bene, piccola…. Ma prima devi passare l’esame eh!”. Senia è più donna di tutte noi, Lara è quella più schiacciata dalla gabbietta che le sta attorno, io sono uno spuntone di ghiaccio rivestito di freddo e lucido metallo diciannovenne. Senia e Lara sono le mie due amiche. Le uniche persone che non m’infastidiscono quando mi sono intorno.



mercoledì 7 novembre 2012


una manciata di giorni fa sono incappato in una rappresentazione wagneriana del ciclo dei nibelunghi, rai5, sono capitato lì proprio mentre cominciava, mi sono fermato. la musica classica, Wagner in modo particolare, ha la capacità di mettere a nudo tutta la mia ignoranza, davanti ad essa sento di non conoscere le geometrie, i singoli innumerevoli fili che formano una trama immensa e meravigliosa. quello che faccio quindi (l’unica cosa che posso fare) davanti alla musica classica e davanti a Wagner è abbandonarmi alle sensazioni, senza tentare di andare a fondo (se provassi farei la figura dello stupido, a nessuno piace fare la figura dello stupido, nemmeno quando si è soli con se stessi). ogni volta che sento Wagner, ciò che m’investe oltre alla suddetta consapevolezza della mia ignoranza, è un’immensa ondata di sfumature emotive, ci sento tutti i colori che compongono le emozioni dell’umanità, ci sono tutti, ognuno viene toccato, pizzicato come le corde di un’immensa arpa suonata dalle mani del tempo. non cerco di riassumervi la trama del ciclo dei nibelunghi, come dicevo mi sentirei tremendamente ignorante e un pochino idiota. una delle tremila cose che mi saltano in mente è una cosina tutta mia, che non ha niente a che fare con la musica. il personaggio femminile principale (credo sia il personaggio femminile principale, se sbaglio datemi pure dell’ignorante e del cretino, non mi offendo) ha lo stesso nome di mia madre. ora, l’albero genealogico della mia famiglia non affonda nemmeno mezza radice nel suolo teutonico, tantomeno  nel suolo della musica colta. mi chiedo cosa diavolo sia saltato in mente ai miei nonni quando hanno scelto il nome di mia madre. i miei nonni sono morti da un pezzo e a mia madre non lo chiederò mai. certi misteri portano con sé una certa bellezza, l’ignoranza a volte è più bella della verità. mia madre porta il nome di una valchiria, questa cosa mi è sempre piaciuta e me la sono sempre tenuta per me. un’altra cosina tutta mia, così, in cui il nome di Wagner c’entra ma solo perché quel nome era stampato sul foglietto che accompagnava un cofanetto di cd: qualche secolo fa, in giro con la mia bellissima musa dalle vene di ghiaccio, venimmo attratti entrambi, all’unisono, dal cofanetto del Tristano e Isotta, dopo un breve consulto decidemmo di acquistarlo fifty-fifty. così, un piccolo ricordo che ho voluto scolpire in questo foglietto virtuale. una cosa che mi viene in mente pensando alla musica di Wagner, pensando alla musica non ascoltandola, ascoltandola, come vi ho detto, vengo assalito da tutte le sfumature di cui è capace l’animo umano, pensando al nome di Wagner mi viene da pensare alla parola “cultura”. roba che se fossi pieno di soldi, i soldi c’entrano sempre in tutto, fanculo a loro, se non dovessi andare quasi quotidianamente al circo mi verrebbe da immergermi in quel mondo, tentare di afferrare qualche filo di quella fittissima trama. ma il circo è sempre dietro l’angolo, sempre pronto a trascinarti nella voragine di mediocrità dilagante. fanculo anche al circo.

domenica 4 novembre 2012

Dylan Thomas


Sono semplicemente un poeta. Nascevano in me visioni che traducevo in suoni e parole, tutto qua. In una lettera al mio amico Henry Treece scrissi: “ Giudico l’inciampare di uno scoiattolo della stessa importanza, perlomeno, delle invasioni di Hitler, degli assassini di Spagna, del romanzo d’amore tra Greta Garbo e Stokowski, dei Personaggi Reali, dei disastri minerari, dei perfidi capitalisti, dei comunisti santarellini, della democrazia, della Chiesa d’Inghilterra, del controllo delle nascite”. La mia musica, la mia poesia era un intrinseco reticolo di amore, morte e natura. In ogni mia poesia ci sono tutte e tre le cose, inscindibilmente intrecciate l’una con l’altra. Nonostante il mio talento fu riconosciuto immediatamente, feci anche delle importanti conferenze e letture negli Stati Uniti, feci una vita dissoluta, i soldi così come mi arrivavano in mano così fuggivano via, come granelli di sabbia. Non me ne curavo per niente, in realtà.
In questo angolino che mi ospita, ho visto il signor Jim Morrison, che un po’ mi somiglia, nonostante il mio talento si sia manifestato esclusivamente per mezzi letterari. La cosa che mi è balzata in mente è l’analogia tra lui e Pam e me e la mia amata. Conobbi Caitlin, una ballerina franco-irlandese, in un pub londinese, il Weatsheaf. La nostra relazione fu sempre burrascosa, violenta, sempre in preda all’instabilità. Ma eravamo sempre e comunque legati, indissolubilmente, quando c’era il successo, la fama, i soldi e i riconoscimenti ma anche nei periodi squattrinati, negli eccessi, nelle bugie e nei tradimenti. L’ho aspettata anche da morto, sotto qualche metro di terra, dove c’è quella semplice croce di legno bianco nel cortile della chiesa di Saint Martin. E quarant’anni dopo mi ha raggiunto, la mia Caitlin. Forse il mio verso più famoso, quello che conclude la poesia “Una rinuncia a piangere la morte, per fuoco, di una bimba a Londra” è questo: ”After the first death, there is no other” / dopo la prima morte non ne esiste altra.

venerdì 2 novembre 2012


un giorno scelsi di sospirare nel buio, il mio scheletro soffice come un manto di grande poesia eccessiva, quel giorno presi per il culo il tempo, parlai con la donna più bella del mondo, presi in giro la fortuna e sentii crescere la distanza, nessun umano poté udire i miei gemiti universali… il tamburo pulsava senza paura, sacrilego e dissacrante respiro, la polvere si accese volteggiando nell’aria come micropensieri di carta incendiata, soffiai come un dio, sfavillarono i carboni, ingurgitai un sorso d’inferno senza paura… un meraviglioso grido stridente lanciai nell’aria, si dilatò sopra la foresta impadronendosi di ogni anfratto di buio e di silenzio…
… ora… ora soffice dilatata distanza, morbido sorriso sulle mie labbra pungenti… mi lascio sprofondare nel mio buio, un pozzo di nero miele tiepido e avvolgente…