lunedì 30 giugno 2008

come una nuvola






è tempo di spalancare gli occhi
l’amore che porto in grembo
mente spudoratamente
è tempo di requiem
soffrirò ancora
l’amore che sogno
in notti gonfie di incubi
mi accompagnerà all’inferno
volo nel mio superno eliso vano
come un amante solitario volo
credo impazzirò sognando
cadrò abbracciandoti
come una nuvola
che piange
tutto il suo
dolore

.



mercoledì 25 giugno 2008

mia bellissima musa dalle vene di ghiaccio


Tutte le mie chimiche sostanze ad assecondare lunari incostanze, colorate come ombre invisibili e allucinate. Sono nato dalle lacrime della luna, piovuto in una notte di fredde intemperanze, lupi affamati mi hanno allevato come un fanciullo sbranato dalle sofferenze. Tu, come un flebile ricordo sotterraneo, emergi rammentandomi che, se io mi dico poeta, dovrei rischiarare la tua bellezza come si faceva per le dee nell’antichità. Il poeta, dal tenero animo bianco e sognante, attende che il cuore gli venga estirpato da quelle unghie che sanno di esser belle e desiderate, oh si, loro sanno che c’è chi si lascerebbe annientare dal loro gesto duro e spietato. Il poeta è un bambino solo, nato per soffrire, morto innamorato, che guarda al cielo e al suo amore per cui è malato, è un triste pagliaccio condannato. Il suo dolore è d’una simile bellezza di cera e di vetro, di sangue e di sudore che chi lo vede ne resta incantato. Oh mia bellissima musa dalle vene di ghiaccio, tu sai che mi lascerei morire sfiorando i tuoi scintillanti capelli fioriti dall’incanto, il tuo distacco è una morte gelida e un rovente dolore, il mio inchiostro è la velenosa sofferenza che mi lasci sorseggiare come una fontana fiera del suo vanto raffinato, oh giovane Letea troppo innamorata della tua bellezza, mentre contempli la pietrosa carnagione innocente uccidimi pure col tuo pugnale affilato, non aspetto che di essere accoltellato, avvelenato, sono un bambino e sogno di morire di candore come la tela aspetta il tocco del suo pittore.

domenica 15 giugno 2008

rose dell'infanzia

guardatemi
come fossi una stella
come fossi un pozzo d’acqua
nell’universo

spicco il volo
con le braccia ampie
quanto il vento introverso
nei pensieri di chi sa esser triste

sono un piccolo cancro
nell’anima della città che desiste
una caravella nella notte
un pezzetto di cielo
lucido di pioggia

eri bella
così bella che ora mi fai piangere
è così triste ora
le nuvole di notte sono così sole

la mia solitudine
mia fedele ancella
costeggia le isole senza rimorso
la sua prora
si specchia nella luna
e intanto cade la pioggia
una pioggia scrosciante
martellante
nel silenzio della notte

per te sarò
d’ora in poi
una muta cartolina
da impolverare

una barca si allontana
lascio la spiaggia
accompagnato dal fuoco
il mondo mi guarda
e dietro la schiena
tutti in piedi
i vostri sguardi
mi fanno sentire così solo

fiammelle cadono
come petali silenziosi
nel crepuscolo
non è tempo
di combattere

è tempo
di esser maniaci
di esser sanguinari alieni
da abbattere

sgocciolo di vita
lacrime nere
sorde sofferenze
a soffocare
le rose dell’infanzia

sabato 7 giugno 2008

il mio parnaso personale

vivo nel mio mondo di cristallo, come un angelo che tenta di rubare l’anima ad un diavolo, per assaporare l’orrore della sofferenza senza rimedio. fuori l’aria è triste ma i miei sospiri sono più tristi dell’aria, voglio ruggire come se stessi per morire sbranato da un tuono criminale, barcollo confuso come uno sciacallo affamato in cerca d’un omicidio e del suo pugnale. odio l’ingiuria artificiale che si addormenta nel fasullo talamo esteriore, la mia cella è un baccanale silenzioso, il mio parnaso personale. riposo in una culla artigianale di soffice metallo inesploso, senza ricamo. sono uno sposo passionale corroso da un amore sfiorato e rimosso, un deplorato orinale in disuso, privo di morale. il vostro è un vano assedio che infuria trascurato, lasciate che mi faccia del male, lasciatemi sfuggire e non badate all’abito che indosso.sento tutto come una belva infelice, col cuore lontano e il sangue furioso, ogni cosa è solo un frammento di una grossa inquietudine, ogni frammento è una cicatrice sul corpo di Dio. aborro la sbiadita moltitudine come una grossa divoratrice d’aria che non serve a nulla, la mia unicità mi tiene a galla sulle acque della mia lieta tristezza dalle ali di farfalla.l’umanità è una pallida signora che si addormenta e non sa nemmeno sognare.