lunedì 30 luglio 2012


sono troppo normale per il paradiso dei pazzi e immerso nel gregge, ai miei occhi, spicco come l’unica pecorella nera caduta per caso sui pascoli di questa terra troppo mite e temperata, distante dalle altezze sublimi dei cieli e dagli ardenti fuochi infernali. poco fa mi sono praticamente arrovellato per ricordare da dove giungesse una frase emersa nella mia mente, una frase il cui suono ora mi è particolarmente gradevole: “l’ora più silenziosa”.
per la cronaca è il titolo (ora lo so, ma che sforzo di meningi!) di un paragrafo dello zarathustra di nietzsche. l’ora più silenziosa suona come il momento più desiderato e intellettualmente più rinvigorente della giornata. be’, forse non della giornata degli abituali frequentatori dei parchi di divertimenti tipo mirabilandia, gardaland, aquafan etc etc.
c’è spugnosa morbidezza nella stanza, candele e pink floyd, bozza per un nuovo ritratto che domani comincerò a riversare su tela (poi vi farò vedere…), 



nervi distesi e sguardo terso e appuntito acuito dalla notte imminente.
oggi pomeriggio mi sono inventato niente poco di meno che un dio!
direttamente dalla casa delle tre grazie un piccolo stralcio:


“…Jac, un bestione di almeno un metro e novanta, che affondava le sue radici genealogiche in una qualche tribù di pellerossa, aveva smarrito un po’ di giorni fa un vecchio anello di pietra, di opale di fuoco precisamente, che, diceva, apparteneva da tempo immemore alla sua famiglia. Diceva di essere un discendente della tribù degli abenaki, nome che significa “popolo dell’alba”. La sua tribù credeva che il dio supremo, che chiamavano Algo-Mawi, avesse creato un certo numero, facciamo cento, di bisonti e serpenti, cavalli e aquile, coyote, avvoltoi, corvi e così via. Cento esemplari di ogni specie animale, poi Algo-Mawi avrebbe, come dire, gettato via lo stampino, facendo ad ogni animale il dono del sesso, per garantirne la moltiplicazione ed evitare l’estinzione. E il meccanismo del sesso e l’equilibrio della natura funzionavano a dovere, ovviamente prima dell’arrivo dell’uomo bianco…”.

sabato 28 luglio 2012


sofferenza come prezioso salvacondotto per un distacco dal terreno e da tutte le sue seccanti incombenze, meritato soggiorno nella fresca caverna, dove il tempo ha il peso della polvere e le occupazioni degli umani sono scheletri di foglie secche morte milioni di autunni fa. attenderò l’alba, solitario come un eremita dotato di un’anima espansa come roseo fumo refrattario ad ogni forma di odio, tenerezze e commozioni tipicamente umane. [mentre scrivo penso che chi leggerà queste parole forse non capirà niente, forse si chiederà di cosa parli, se sono metafore sul mio stato d’animo o semplici parole che in questo momento mi piace liberare come uccellini a cui spalanco la gabbietta…]. questa notte è una mia notte. uno straccio che s’imbeve di buio e aria fresca e clandestino silenzio che in pochi possono realmente cogliere. mi siedo sul pavimento, la testa reclinata un poco a sinistra, all’indietro. sono una fluida statua di  biancastro marmo venato di grigio e di verde. penso alle persone che mi hanno intravisto, seppure per pochi istanti. le mie concessioni, attimi di lucentezza, semplice, serena purezza. una mia notte, ovviamente c’è lei, la mia splendida dama ottocentesca, la mia tristezza. è dolce e premurosa e il suo sguardo sa di morte e di lacrime e di dannata solitudine tormentata e romantica. finalmente il fracasso del giorno è del tutto andato a fare in culo. ora è veramente notte. se c’è qualcuno che ogni tanto mi pensa gli rivolgo in pensierino. adesso di nuovo caverna e pietra, assenza di tempo e di umanità. silenzio e solitudine.

giovedì 26 luglio 2012


ho vomitato l’anima insieme alle viscere a ad un po’ di rancido materiale marrone. la scenografia sempre la stessa: notte, totale solitudine, io piegato in due sul pavimento, con le ginocchia e la fronte a contatto con le mattonelle bianche del pavimento del bagno. ora viscere inquiete, un crampo allo stomaco non fortissimo ma dannatamente incessante, fa caldo ma la mia pelle è pallida e sudata, gli occhi sanguigni per via dei conati di vomito, l’espressione del viso, quella credo di non riuscire a descriverla bene ma è una maschera di sofferenza, il naso arricciato senza sosta, i muscoli facciali, agli angoli della bocca, sulle guance e sino agli zigomi, tesi, contratti, lo sguardo, dietro quegli occhi arrossati, uno sguardo spento come quello di un pesce invenduto sul bancone di un pescivendolo quando è ora di sbaraccare e chiudere bottega. e dietro quello sguardo, che ci crediate o no, un dimesso sorriso privo di forza ma provvisto di un pizzico di sarcasmo: la notte è innocente e confortevole per il resto del mondo, che ora sta dormendo con membra di infante sano e accudito, per me di dormire non se ne parla di sicuro, attenderò l’alba come una sentinella. mi sovviene un passo di un salmo penitenziale comunemente noto col nome “de profundis”: “…l’anima mia è rivolta al Signore più che le sentinelle all’aurora…”. sempre piaciuta quella frase.
due passi per una camomilla al microonde che vorrei aromatizzata col rosmarino (nemmeno un rametto nel freezer, funk!), incrocio uno specchio che mi restituisce una faccia così segnata e sofferta che in confronto il vecchio, quello del vecchio e il mare di hemingway, sembrerebbe un fighettino alla cristiano ronaldo. se l’ispezione al frigorifero mi ha causato la delusione per il rosmarino mancato, in compenso mi ha donato la soddisfazione di aver trovato una bella lattina di coca cola (quando comincio a stare un pochino meglio, in questi casi, un vero toccasana, meglio dell’acqua fresca in pieno sahara). una nota di cronaca: un’oretta fa, mentre abbracciavo e quasi baciavo la bianca tazza del cesso, un improvviso fracasso nel soggiorno. il chiodo sulla parete ha deciso di piantare in asso il quadro della mia povera Cry, che è stramazzata al suolo ma sta bene. dolce, pallida, sofferente ed empatica Cry…

mercoledì 25 luglio 2012


i carboni ardenti, dentro il mio stomaco, nei polmoni e nel cervello, bruciano senza fiamma, ricordandomi che sono sempre ad un passo dall’inferno.
tra la semioscurità della caverna e l’ingresso illuminato dal giorno morente, in controluce, la sagoma silenziosa del lupo che avanza con lentezza, quasi danzando. il momento del crepuscolo è perfetto per decidere di trascorrere la notte lontano dai miei simili, nella caverna di pietra antica molto più degli uomini e delle loro sciocchezze. il suolo è del tutto privo di terra o polvere, pietra dura e fredda appena spazzata dai fantasmi della foresta. con docili movenze educate si distende sul pavimento pietroso come il più fidato dei cani da guardia. presto ci abituiamo l’uno alla presenza dell’altro. sul palmo della mano sembrano tre schegge di una pietra preziosa, i vetrosi frammenti donatimi nel pomeriggio da uno degli uomini della foresta. loro chiamano quei cristalli “la luce che fa vedere le cose”, così mi ha detto. un goccio di rum dalla borraccia e quelle tre scaglie rilucenti fanno parte di me, riposte con cura nel tenebroso antro del mio corpo. lascio che la fatica della giornata si depositi tra i muscoli e le ossa, cerco di non pensare alle cose umane, mi abbandono ai suoni lontani della notte che avanza. attendo che sogni non umani mi vengano a trovare.

domenica 22 luglio 2012


stamattina sono riuscito ad acciuffare per la coda un brutto sogno che di lasciarsi agguantare non ne voleva proprio sapere, lo stronzo voleva lasciarmi in omaggio solo il suo carico di angoscia senza nemmeno il privilegio della consapevolezza. il postaccio, ancora lui, nonostante si siano interposti diversi anni tra lui e me, il mio piccolo auschwitz personale, annientamento di ogni stralcio di umanità.

scribacchiare è pensare senza fretta e ad alta voce. poco fa pensavo a Il libro dell’inquietudine di pessoa: “considero la vita una locanda dove devo fermarmi fino all’arrivo della diligenza dell’abisso… per tutti noi scenderà la notte e arriverà la diligenza… godo della brezza che mi è data e dell’anima che mi è stata data per goderla e non mi pongo altre domande, né cerco altro… se ciò che lascerò scritto sarà letto e intratterrà qualcuno lungo il transito andrà bene…. se nessuno lo leggerà né si intratterrà, andrà ugualmente bene…”. un bel manifesto di nichilismo, disegnato con i tratti soavi di pessoa, non con quelli violenti e dinamitardi di nietzsche, ma pur sempre nichilismo. la differenza la fa lo stile. pensavo a questo, due minuti fa. e l’ho scritto. punto.

martedì 17 luglio 2012


tutti finti come finto è il vostro mondo. le mie sofferenze sono troppo nere per i vostri capelli biondi, mai potreste sopportare il sapore amaro delle mie ferite. il mio corpo gira a suon di walzer insieme alla morte che voi nemmeno vedete, la cosa che più mi piace è che voi sul più bello sparite, la mia pazzia vi annienta con la forza del fuoco, delle nuvole e della leggenda. io sono una sublime bomba, voi uno spregevole nulla del tutto privo di ogni forma di esuberanza.

domenica 15 luglio 2012

un’anima ardente si avvinghiò stretta alla malinconia, dal loro abbraccio nacque un angelo con impressa la fiamma dell’inferno.

lunedì 9 luglio 2012


la voce di kurt cobain è graffiante, l’irrequietezza di rimbaud che da ragazzino scappava di casa è graffiante, una donna solitaria poggiata sul parapetto di un ponte in una città notturna e desolata è graffiante, l’alienazione di pink in “the wall” è graffiante, il canto di layne staley è graffiante.
la mia vita sociale, quella che abita al di fuori della mia pelle, è separata dalla mia vita interiore da un profondo crepaccio irto e inaccessibile. a fare da paravento, per mascherare ai mille occhi di plastica il mio crepaccio, il mio talento di pagliaccio. talento naturale, necessità esistenziale, forse entrambe le cose, chissà.  sorrido e brucio, già intravedo i denti dei miei lupi. non sto male, quando sono con me stesso non sto mai male.

sabato 7 luglio 2012


il dolore è effimero, bisogna assaporarne ogni gradazione, bisogna leccarne ogni singola goccia, pura intima essenza , la vita che stramazza cedendo il posto a una piccolissima anticipazione di morte, una micromorte che sa di notturne sensazioni da trattenere sulla punta della lingua. una notte di porcellana in cui vedo tutto con meravigliosa nitidezza, le mie vene con la loro acqua nera cantano un sommesso blues che somiglia ad un mare medievale dotato di artigli.
ieri ho sognato sul serio di essere sbranato da un branco di lupi neri come corvi, nel cuore di un bosco innevato. ho avvertito ogni morso, i denti che affondavano tagliando, la schiuma di quelle bocche venate dal mio liquido rossastro che pulsava di paura. materno, premuroso e spietato dolore sotto forma di morsi feroci.
decisamente meglio, molto meglio dell’insonnia.

mercoledì 4 luglio 2012


non concedersi dissolutezze, sparare a zero su ogni forma di mentale perversione non è da uomini forti bensì da uomini noiosi. ne conosco così tanti di uomini noiosi, per mimetizzarsi tra loro basta semplicemente spianare ogni asprezza, smussare ogni spigolo. e sei uno di loro. abbraccia la loro tediosità e ti prenderanno con loro, potrai bere una birra tra loro e sentire ogni dettaglio dell’intera giornata del loro gattino, del nuovo reality televisivo, delle incombenze quotidiane che come creature spaventose mettono a repentaglio la serenità domestica (ritirare pagelle, potare cespugli, andare all’aeroporto a prendere la suocera…). nei miei sogni io bevo una birra seduto a un tavolino insieme ad un invecchiato rimbaud.
aspiro nicotinica aria incendiata, la testa reclinata un poco all’indietro, espiro nella solitudine delle mie quattro mura. un’immagine in bianco e nero, sottofondo di pioggia estiva….  SssSSsSsHhhhHHhhHHHhh….