lunedì 31 agosto 2009

Charleville I







25 ago esco di casa con poche cose, una maglietta e un paio di boxer di ricambio, il libro con l’opera completa di Rimbaud, un po’ di soldi in tasca e quella leggerezza che mi fa sentire bello, sorrido armoniosamente dentro di me. A mezzanotte parto da XXXXX, la notte trascorre inutile e silenziosa e alle 8,30 del mattino sono alla stazione Bercy di Parigi. Attraverso mezza Parigi a piedi, per raggiungere la stazione Est, me ne infischio affabilmente del fascino e delle attrattive parigine e prendo il treno alle 12:57, alle 14:30 sono a Charleville. Dopo un quarto d’ora decido che anche a me Charleville sta sui coglioni, una mediocre parentesi urbana immersa nelle ardenne, mi sta sui coglioni e per spirito di emulazione, per affilare quell’affinità, per rafforzare quel sentire che mi ha portato fin qui (Lui non la sopportava la sua cittadina, quante rocambolesche fughe di casa…) decido d’investire buona parte del mio budget prenotando cinque notti in albergo, non ci sarà spazio (…and money! Eheheheh) per Reims, Parigi etc. , starò qui fino ad annoiarmi, fino ad aver voglia di scappare. Arturino-caro, infiltrati dentro me ancora di più, miscèlati con i miei globuli rossi! Proprio davanti alla stazione c’è un busto di Arturino, eretto nel 1901 per celebrarlo come esploratore, quando ancora l’umanità aveva troppe fette di prosciutto negli occhi per apprezzarne l’opera letteraria.

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Ho percorso parecchi chilometri a piedi (quanti ne avrai percorso tu?), ho attraversato mezza Parigi ed ora percorro e ripercorro le strade di Charleville, accanto al vecchio mulino, sul lungofiume della Mosa, m’imbatto, in quai Charcot, nella statua realizzata una dozzina d’anni fa da un certo Hervè Tonglet, statua raffigurante il mio Arturino con la testa inclinata poggiata sulla mano destra, la chioma indomabile, l’espressione triste e pensierosa e l’aspetto da adorabile ragazzino impertinente: non c’è praticamente nessuno nei paraggi ed io resto un po’ solo con lui, sembra che poco sia cambiato in tanti anni, i suoi concittadini pare ancora non si rendano conto della grandezza dell’adolescente geniale e ribelle cresciuto nella loro città. Pochi passi e, in rue du mulin, all’inizio di quai Rimbaud, incontro il vecchio mulino, sulla Mosa, ora sede del museo Rimbaud: decido che il museo lo visiterò domani perché ora mi preme fare una cosa che ho sognato per tanto tempo, una cosa che ora mi fa palpitare il cuore, comincio a sentirmi emozionato come un bambino; quasi a voler prolungare l’emozione dell’attesa scelgo con cura il punto in cui scendere sino alla riva della Mosa, scendo, sono a pochi passi dall’acqua: mi siedo sull’erba, sento piacevolmente gli occhi inumidirsi, il mondo allontanarsi. Sono davanti a quelle stesse acque che ispirarono, ad un geniale adolescente, Le bateau ivre, poesia che incontrai a sedici anni e che non mi lasciò mai più. Non voglio certo fare il sentimentale a tutti i costi ma l’emozione che sento m’impregna tutto l’animo, come una nebbiolina che solo io posso vedere, penso al mio Arturino-caro così intensamente, come ad un vecchio amico scomparso, di più, come ad un fratello mai conosciuto di persona. Attraverso gli occhietti lucidi fisso quell’acqua verde scura, mi accendo una sigaretta, poi un’altra, i minuti volteggiano senza toccarmi, mai una massa d’acqua, neanche troppo pulita, è stata tanto bella e cristallina, pura e divina. Lascio che le mie sensazioni si adagino sulla superficie dell’acqua, come foglie che abbandonano l’albero-madre e si lasciano trasportare libere, leggere…

Charleville II











27 ago Mi sveglio presto, alle 7:20 sono nella saletta dell’hotel per fare colazione, dentro me la palpitante felicità del ragazzino che si prepara all’appuntamento con la fidanzatina. Esco, il cuore freme serenamente, arrivo in piazza ducale, con al centro una modesta , quasi ridicola fontanella, solo qualche donnetta nei dintorni che si appresta a fare la spesa quotidiana. Dalla piazza prendo un lungo violone, avenue Charles Boutet, che mi conduce fino all’ingresso del piccolo cimitero civico, un cartello nero indica “Tombe Arthur Rimbaud”, avrei voluto cercarla io con lentezza ma ‘fa niente, all’esterno del cimitero degli operai asfaltano la strada, dentro nessuno, solo io (splendido!!).
Davanti a me la modesta tomba di uno dei più grandi uomini che il mondo abbia mai conosciuto, due lapidi verticali di marmo bianco, una per lui e una per sua sorella morta diciassettenne, un’altra lapide orizzontale, anch’essa bianca, col nome della mamma e del nonno. Eccomi, ci sono, sono arrivato. Mi compiaccio di esser solo nel cimitero e… …… bè, quello che penso, quello che sento sono cazzi miei, non sono certo affari vostri ( ehehehhehehe…)
… dopo un po’ di tempo scatto qualche foto, fumo due sigarette sulla panchinetta davanti alla tomba e penso “domani tornerò, e anche dopodomani..”. Lascio il cimitero con la leggerezza d’animo e la soddisfazione del post-orgasmo-spirituale, giungo al vecchio mulino sulla Mosa, entro nel museo Rimbaud: quattro stronzatine messe in croce, disposte sui tre piani del piccolo edificio alto e stretto, d’interessante solo il manoscritto originale della poesia “Vocali” e alcune copie di altri manoscritti autografi, lettere e poesie: voglioso osservo attentamente l’elegante e ottocentesca calligrafia del mio Arturino (elegante e ottocentesca come la mia splendida dama…) e concedo uno sguardo distratto alla sua valigia, le posate che usò in Africa… Il mio animo ancora pensa al cimitero quando lascio il museo ed entro nel cortiletto della casa, sempre vicina al vecchio mulino, in cui Arturino-caro soggiornò dal 1869 al 1875 ( penso ancora “forse oggi pomeriggio, di sicuro domani e dopodomani tornerò al cimitero!”).


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So che non è vero ma penso “dopo averti conosciuto da vicino credo che non scriverò mai più”, non è vero ma mi piace pensarlo lo stesso…
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Ma quale adolescente
bruciato dal proprio talento
Ma quale ragazzo dannato
sensibile e annoiato
Ma quale mistero
del precoce genio suicidato…
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Tu sei semplicemente Magia…

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Alle 18:30 sono ancora nella mia panchinetta davanti alla tomba di Arturino-caro, è sempre gradevole notare che sono solo nel cimitero, solo qualche sporadico movimento nella casetta alla destra del cancello d’ingresso, la dimora della famiglia del custode del cimitero. Il cimitero chiude alle 20:00, ci resto sino alle 19:55, con il sole che stanco comincia a pensare al tramonto. In quella panchinetta si sta da dio, ci tornerò sicuramente domattina, è il mio posto preferito! A parte quella della mia prima volta sulla riva della Mosa, in quella panchinetta fumo le migliori sigarette della mia vita.
Faccio un giretto nel centro della cittadina, m’imbatto nella fontana dedicata a Carlo Gonzaga, che nel ‘600 fondò la città, fontanella decisamente discreta se confrontata a quella della piazza ducale (in fatto di monumenti noi italiani siamo abituati troppo bene!!!)…
Cammino e cammino, decido di andare sul battello intravisto ieri, un nero battello ormeggiato sulla Mosa e adibito a pub, “ma cristosanto”, mi dico,” come cavolo si fa a gestire un esercizio del genere e a non chiamarlo Le Bateau Ivre??? Uno dev’essere proprio folle, pazzo e stravagante!!!”. Ad ogni modo, sul serio, solo un pubettino-ristorante chiamato Le Rimbaud, come può non esserci, QUI, un pub chiamato Il Battello Ebbro? Proprio strano il mondo… Mi siedo al tavolino del battello-pub-anonimo o, meglio, davanti a ciò che funge da tavolino ovvero una botte di legno, bevo qualche birra mentre il sole decide che è ora di tramontare, guardo il tramonto sospeso sull’acqua e mi è impossibile non pensare alle parole “E’ ritrovata. Che cosa? L’eternità. E’ il mare andato via col sole.”.
Mi gusto il tramonto mentre i camerieri, coi quali intraprendo tranquille discussioni sulla birra da portarmi “ yess, red beer… yes, red but not sweet, no sucker… yes, this one from belgium…” mi portano delle birre servite in bicchieri a dir poco stravaganti, il più carino è a forma di clessidra, con la base arrotondata che per stare in piedi dev’essere sostenuto da un supporto di legno. Mi sento meravigliosamente e non solo per le birre scolate, la sostanza che mi procura la migliore ebbrezza è sempre il pensiero della mia panchinetta al cimitero… Ho con me una copia del mio incompreso capolavoro, “la mia stagione”, leggo il capitolino “notte ebbra” e lo trovo stupendo, me ne compiaccio e mi sento come un piccolo Dioniso in incognito tra voi poveri mortali, sorrido dentro me e mi sento bellissimo, sorrido dentro. Accendo per qualche istante il cellulare ed arrivano le risposte ai messaggi inviati stamane dal cimitero: la piacevole discrezione di una donna senza volto, mio fratello che mi chiede “ma chi è sepolto a Charleville??”, un’animascura che mi scrive “Che culo! Anch’io…”

Charleville III







"La morte è sempre al mio fianco, anche adesso che sono così leggero e sereno, la mia morte mi scorta, io mi ci sono affezionato, lei mi adora in silenzio, mi segue come un’amorevole ombra che adoro"


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28 ago mattino, alle 8:20 sono già al cimitero, stavolta, contrariamente ai giorni scorsi, la giornata è quasi autunnale, cielo grigio e nuvoloso a far presagire pioggia,nessuno nei paraggi, il fosco gracchiare delle cornacchie nell’aria, qualche foglia secca che tacitamente svolazza trasportata dal venticello fresco, la mia panchina davanti alla tomba di Arturino-caro. Alle 9:30 comincia a venir giù una finissima pioggerellina, mi faccio bagnare un po’ dall’acqua e mi dirigo verso l’uscita. Accanto al cancello d’ingresso c’è una cassetta postale con l’immagine di Arturino e la scritta “Arthur Rimbaud”: ci infilo una copia de La mia stagione nella cui prima pagina ho scritto semplicemente “to Arthur” e tra le cui pagine ho inserito un foglio con scritto: “Ma guarda un po’ dove cazzo sei finito! Probabilmente l’ultimo posto che avresti scelto per riposare così a lungo. Avresti senz’altro preferito un fazzoletto di terra accanto al mare, magari in Africa… … Io, comunque, ti avrei raggiunto anche in capo al mondo. Sono venuto fin qui per salutarti, ho camminato tanto, cosa che non ti è molto estranea, eh? Ciao Arturino...“



martedì 25 agosto 2009

venerdì 21 agosto 2009

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... quando mi sento male mi rendo conto di quanto sono assolutamente SOLO. ...... il prezzo da pagare per non accettare una vita in maschera... ...credo che morirò solo, giungerò alla fine in silenziosa e dimenticata solitudine... ...ogni volta che mi accascio sul pavimento, per gli spasmi di dolore, ringrazio di esser solo, forse per un attimo penso ad una mano amica, un viso premuroso e preoccupato... ma è roba che non fa per me... ognuno ha le sue vocazioni e, per quanto possano essere poco gioiose, non seguirle sarebbe calcare un piccolo, vuoto palcoscenico fatuo... il copione per quanto possa essere rassicurante non m'interessa, la mia forza sta nel rifiutarlo, in questo riconosco di avere una grande forza... la forza di un umile e schivo piccolo eroe obliato... ... stremato sul pavimento, alzo lo sguardo per vedere e... ...Lei c'è sempre, Lei non mi abbandona... ...Lei è Tristezza, Lei è Solitudine, Lei è Amore, Lei è Morte... ... Lei è la mia Dama... ...sento che sto bruciando dall'interno, ho nello stomaco un tizzone che non so se venga dalla punta acuminata di un'angelica spada luminosa o da lontani recessi infernali... ... Lei mi tende la mano scheletrita... con fredda bellezza di marmo il mio viso, per un attimo immune da sofferenze, si distende immaginando di porre fine ad un'agonia prolungata...

mercoledì 19 agosto 2009

autoelogio del battello ( eheheheh )

So essere così dolce e assatanato, un'amabile persona timida e discreta, premurosa e gentilissima... uno stregone intenso e appassionato, un diavolo triste e dannato... questo blog è mio e ci scrivo ciò che voglio, qua non servono ipocrisia e falsa modestia... penso spesso che sono l'uomo perfetto, sensibile e tormentato, acuto e penetrante, deciso e vulnerabile.... fossi una donna penserei che uno come me è l'uomo perfetto ( e scusate la presunzione ehehehe..) ... come dico sempre "fossi donna m'innamorerei di me in un secondo" eheheheheheheheh

lunedì 17 agosto 2009

viaggio dell'animo pomeriggio d'agosto

Il mio animo vaga fino a giungere in un’antica città dalle arancioni mura pietrose, il silenzio del rovente pomeriggio d’agosto è un mistico deserto, l’aria ardente intorpidisce mollemente la vista che immagina la sera come un remoto miraggio insperato. Così distanti sono la dolcezza dei tuoi agili baci, le carezze della tua trepidante saliva d’avorio, le fresche gioie della tua trionfale fontana luminosa. Vago per le accaldate stradine acciottolate, deserte e rosse come nei sogni dal risveglio sudato, le ombre sono tutte emigrate da tempo, striscianti assurdi pensieri sorridono negli afosi torrenti di pietra… Sogno la rosea frescura della tua bocca, le tue nere ciocche ondeggianti e svolazzanti, il verde dei tuoi occhi nudi e profondi, sei la mia avida e vorace sacerdotessa in quest’attesa del tramonto fantastico…

sabato 15 agosto 2009

tra mille viziose folate

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discinte bellezze sfiorite d’estate
come fuochi di festa
danzanti di notte
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sgargianti mignotte
di barbarica bellezza appestate
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scheletrici paesaggi gioiosi
magnetiche gocce sanguigne ed alate
spossarono i miei occhi rapiti
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le mie cosce tremarono ammalate
il mio ardore si spense
tra mille viziose folate
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giovedì 13 agosto 2009


sapersi osservare, ascoltare in solitudine, è un dono che in pochi possiedono, la maggior parte delle persone, quando sono sole, in silenzio, sente semplice noia, un'insofferenza per l'assenza di risate e schiamazzi, chiacchiere e inutili rumori di sottofondo.

sentii l’immensità’ divenire cadavere

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lo splendido lutto solenne
mi colpì con un intimo dolore d’inverno

rammento la splendida ritrosia dell’immortalità

oh fulgenti ninfe immemori
tiepidi aliti di violenza

mi sentii irrorato
di selvaggia pioggia putrida e lussuriosa

mi sentii
un ago conficcato nel ghiaccio

sentii l’immensità divenire cadavere.
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lunedì 3 agosto 2009

paesaggio dell'animo

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grandi specchi
riflettono arcani
oscuri misteri
nell'anticamera
del mio animo indecifrabile
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un'illeggibile pagina
il mio sogno abituale
illuminata da compatte nebbie
sorprendenti come onde
che sommergono onde
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acqua che sommerge acqua
niente che sommerge niente
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il mio animo è un paesaggio monastico
screziato di nubi rosso sangue
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fumo notturno ovunque
ombre si stagliano in ogni angolo
mentre la mia figura
rimane un'incompresa
bellezza senza voce
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una straziante melodia
affilata come un lampo
ombre intercalate
da immortali silenzi senz'ali
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