lunedì 31 dicembre 2012

L'ultima notte dell'anno. Guardate la vostra adorata Cry seduta sul freddo marmo bianco del pavimento con la sua solitudine tatuata addosso come una pallida mantide religiosa che prega inascoltata sotto un cosmo disabitato. Guardatemi e innamoratevi di me, sono una solitaria dea più isolata dei suoi fedeli che la osservano con occhi gonfi di speranza. Guardatemi e innamoratevi di me. Sono un profumato fiore silenzioso sbocciato in un mondo popolato da marci escrementi a quattro zampe. Davanti a me sul pavimento Bullett, il mio cane di peluche muto e pensieroso come un saggio allontanatosi dalla società troppo rumorosa. Sono una dea generata dal pianto di un universo triste e sconsolato. Mia madre una lacrima invisibile ad occhi imputriditi da una noia che sa di stupido telequiz televisivo da fascia oraria preserale. Guardatemi e innamoratevi di me. Prendo due tavor, un halcion e un goccio di jack. Un altro goccio di jack. Ho voglia di osservare un arcobaleno tutto nero che sorge solo per me. Non voglio pensieri terrestri nella mia testa. Non voglio. Pensieri terrestri. Nella mia testa. Altro goccio di jack per aiutarmi a spegnere ogni luce. Accendo una sigaretta accendo Inger Lorre She’s not your friend. Mangio anemici crackers senza sale unico cibo ingerito dal mio corpo in due giorni due. Racconto a Bullett, mentalmente senza parlare, è un cane di peluche ed io in questo momento sono una folle controllata, racconto mentalmente a Bullett la storia di una ragazzina a cui nessuno aveva mai insegnato a piangere. Spesso la ragazzina poneva alla madre domande tipo “perché la gente piange?” e quando si sentiva rispondere “Perché stanno male” lei diceva “dunque quando si sta male bisogna piangere… Cosa bisogna fare per piangere?”. Chiamo la ragazzina Betsy. Betsy la ragazzina che non sapeva piangere. Bullett ascolta silenzioso come un saggio allontanatosi dalla società troppo rumorosa. Guardatemi sono la vostra adorata Cry seduta sul freddo marmo bianco del pavimento. Guardatemi e innamoratevi di me.

venerdì 28 dicembre 2012


tutta la bellezza ammissibile da quell’intrico di neuroni e fasci nervosi e bulbi oculari e solchi di corteccia cerebrale e pulsazioni potenti come tamburi e inaspettate e veementi gittate di sangue, tutta la bellezza immaginabile [tollerabile] dall’animo umano racchiusa in un’allungata e sinuosa mano. se questa non è essenza di Bellezza io non merito di respirare nemmeno per un secondo ancora. diomio quanto mi soffermerei a sproloquiare su questa Bellezza dalle cinque dita snelle e sottili, diomio quanto mi perderei nella contemplazione di quella mano. uno dei miei eroi (che di letteratura ne masticava parecchia) disse che la più grande opera creata dall’uomo in tutti i tempi è la Commedia dantesca. questa mano non è da meno. la sublime altezza creatrice che caratterizza le note di Mozart, gli affreschi o le sculture di Michelangelo, i versi di Dante, le vocali del mio Rimbaud, le forme del Canova o del Bernini, fanno pensare senza indugio ad un’ispirazione in qualche modo divina. impazzisco (in modo terribilmente piacevole) nel tentare d’immaginare un uomo che crea qualcosa di tanto Bello. come questa mano. forse non ho il coraggio, la forza, per pronunciare questa frase letteralmente ma mi piace scriverla indubbiamente: credo che darei la vita per riuscire a creare qualcosa come questa mano. darei la mia vita per creare qualcosa come questa mano. morirei per lei. per quella mano. morirei felice se fosse quella mano ad accarezzarmi il volto, mi addormenterei dolce come un bimbo. per sempre. dormirei felice. l’immensa delicatezza della carne, la morbida e decisa sporgenza ossea di quel polso che si arcua musicalmente e quelle dita… quelle dita che potrebbero arrivare, se volessero, a sfiorare le gote di Dio… oddio, mi sento venir meno, sul serio, sono inebriato dalla visione e dal pensiero di quella splendida mano… meglio tacere…. meglio tacere…

[Parmigianino, Madonna dal collo lungo]

giovedì 27 dicembre 2012


le luci appese sulle strade della città, sopra asfalto bagnato di solita pioggia che se ne frega delle festività, sopra la solita fiumana d’insulsa festante umanità che compra, spende in preda al delirio della forzata futilità. sono il giovane dio caduto su questa terra, che attraversa deserti e solca oceani immensi e dimenticati, oceani per voi inimmaginabili. sono un giullare rinchiuso nella sua gabbietta di solida instabilità. sono gelato e colorato come un pagliaccio seduto su un cono biscottato come su un’altalena invisibile che splende mentre oscilla davanti alle vostre teste appannate. sorrido meraviglioso davanti a tutte queste vostre puttanate, irrido le vostre catene scampanate, sono l’incessante lume delle vostre notti assonnate. canticchio una canzone che m’invento al momento, una canzone che non esiste se non nella mia testa forse bacata. come fa la mia canzone?

mi brucio mi taglio martorio la mia carne. a modo mio sono un santo, una martire della mia anima solitaria. sono un cazzo di martire senza religione, a rebel without a cause, se mi passate la citazione cinematografica. il mio corpo lo avverto come un unico esteso livido, dolore sordo, soffocato, un dolcissimo urlo perso nel vuoto. accarezzo le labbra della dama di bianco vestita, la morte. muoio, anche se poi non muoio per davvero. mi pugnalo a fondo, sangue dal mio corpo. sangue. dal. mio. corpo. chissà da dove cazzo sono nato, da quale pianeta provengo. sono matto, sono morto (sono vivo in una terra di morti) ma nessuno se ne accorge per via del mio trucco. chi mi ha visto potrà portare con sé la cartolina di un santo. chi mi ha visto potrà portare con sé una goccia del mio sangue. mi pugnalo per accentuare il dolore. nessuno può vedermi sorridere. morirò solo. annoto con piacere che la sensibilità con cui sono nato è rimasta intatta. a modo mio mi sento un piccolo santo fedele e leale a me stesso. a modo mio sono un mio piccolo eroe. 

sorrido al pensiero di non aver abbandonato del tutto certe mie vecchie insane abitudini, tra una manciata di ore devo essere pronto truccato per il circo e, anzichè dormire come un angioletto, eccomi qui in piedi come un vizioso e anarchico essere che manda a quel paese orari e consuetudini che ingabbiano tante esistenze inscatolate. accendo ora il cellulare e mi giungono i messaggi accumulatisi nelle ore diurne, tanti "tutto bene, batt?" che non avranno alcuna risposta. mille volte meglio l'aver ricevuto qui un commentino sul lusso di poter restare soli. tra qualche ora sentirò immancabilmente qualcuno che sbotterà "cazzo sono a pezzi, sono andato a letto che era passata la mezzanotte!" e dentro me, sotto il cerone e il nasino rosso, sorriderò pensando alla mia natura aliena.

lunedì 24 dicembre 2012

Modigliani


Vi vedo dannarvi l’anima per ammucchiare più cose possibili, una marea di persone che ammucchiano freneticamente infischiandosene della propria anima, tralasciando la bellezza. L’anima non sa che farsene delle cose che ammucchiate. Poco dopo la mia morte vi siete messi ad ammucchiare anche i miei quadri, quelli che prima nessuno sembrava vedere o apprezzare. Ma quando qualcuno sentenzia che una cosa ha valore e deve essere acquistata, allora ecco che vi precipitate come un gregge di pecore assetate che intravedono una fontana. La vita andrebbe vissuta assaporando sensazioni, non accumulando oggetti. Chi concentra la propria esistenza nelle proprie mani, alla fine atrofizza l’anima, quest’ultima si rimpicciolisce e non riesce a vedere o sentire niente. Agli occhi di chi vive così, io ho fatto sicuramente una vita di merda. In effetti ho patito la fame, sperimentato la miseria in ogni sua sfumatura. Non che ci sia qualcosa di bello in ciò, lo ammetto, però ho sempre cercato di essere libero, svincolato dalle catene sociali. Un vero artista non lo si giudica dalle sue capacità imprenditoriali, dal talento per vendere se stesso, così si dovrebbe giudicare un commerciante. Un artista ha una sensibilità tagliente, una vista penetrante e cerca di dar forma a ciò che vede. L’arte esamina, approfondisce e dà vita alla bellezza. E la bellezza non è detto che sia sempre gradevole, di bell’aspetto, rassicurante. Può essere violenta, angosciante, crudele, spaventosa, agghiacciante. Molti, ancora oggi, mi trovano affascinante, io credo che il fascino nasca dal desiderio inconscio di libertà, mi trovano affascinante perché la loro anima, anche se sommessamente, grida la sua voglia di libertà. Nella mia convulsa ricerca di libertà ho mandato all’aria un sacco di cose, persino quella più preziosa, l’esasperato, smisurato amore della mia Jeanne. Il suo amore per me non ha mai vacillato, la sua dedizione nei miei confronti è la cosa più appassionata e commovente che sia esistita sulla Terra. Ora riposiamo uno accanto all’altra, non come Paolo e Francesca però, che sono travolti da un’incessante bufera, io e Jeanne siamo vicini, abbracciati, finalmente sereni.

sabato 22 dicembre 2012


nonostante apparentemente non abbia proprio fatto una vita avventurosa e dissoluta come tanti dei miei eroi ne ho visto e vissute di cose…ho scritto “apparentemente” perché, in fondo, sono sempre stato un pagliaccio con la mia superficie da bravo ragazzo… in realtà… in realtà a volte mi chiedo come cavolo abbia fatto a frequentare certe persone, certi ambienti, fare determinate cose mentre al contempo andavo a scuola, mentre avevo gli “amichetti per bene”, mentre agli occhi del mondo ero un bravo ragazzo. lo spirito di adattamento mi ha reso un meraviglioso pagliaccio di talento. lo spirito di adattamento, la necessità. tutte cose che quando la mia memoria andrà in frantumi, quando con l’alzheimer la mia 14enne verrà a trovarmi in un ospizio del cavolo, tutte cose che andranno perse per sempre. nonostante sia stato un meraviglioso sedicenne la verità è che sono invecchiato precocemente, nel senso che presto ho perso entusiasmo per il mondo e le persone. ho cominciato prestissimo a trovare le emozioni, le erezioni intellettuali, solo dentro (o attraverso) di me.
in questo momento, in questo preciso momento ho freddo, sento le ossa gelate, solitudine che condensa come brina sul mio scheletro nudo, privo di stronzate. la notte è il momento migliore per spogliarsi delle stronzate. è un miracolo che sia ancora vivo. sono nudo (metaforicamente), la barba lunga e un pallore nel viso smorto, occhi gonfi colmi di assenza di tranquillo sonno ristoratore. mi piaccio, sfatto, sfibrato, piacevolmente logorato (…comfortably numb). oltre ad accumulare cose, sembra che il maggiore interesse degli umani sia intrecciare sempre nuove relazioni tra simili. quante tonnellate di ipocrisia e di puro e meccanico automatismo egoista in suddette relazioni. meglio  un foglietto virtuale come questo, semplice e diretto, privo di pretese. chi vuole leggere non deve fingere un grammo d’interesse. 

mercoledì 19 dicembre 2012


la mia splendida dama ottocentesca mi è così vicina stanotte, si avvicina sempre più, si avvicina e mi bacia, fredde tiepide calde labbra mi baciano facendomi sprofondare in un sordo abisso più profondo dell’occhio del malinconico demone della depressione. nero e viola e rosso acceso in cui sprofondare privo di speranza, un tuffo cieco in un mare del tutto ignoto, famelico e ostile. ci sono da sempre certe immagini che mi accompagnano fedeli. una di queste è la fucilata che hemingway si sparò alla testa. quella fucilata io l’ho sentita, ne ho sentito il rumore, l’odore, da sempre. ma forse non mi capite. il frastuono della schioppettata, l’odore della polvere da sparo, li ho sempre avuti nelle narici, sin da bambino. ma forse non mi capite. a volte penso che se fossi stato un grande scrittore, uno dei miei eroi, avrei ugualmente avuto il mio circo. magari pieno di soldi e festini ma sempre di circo si tratterebbe. ho sempre avuto negli occhi, nel naso e nelle orecchie quello sparo. con certe cose ci si nasce, c’è poco da fare. sono cose radicate nei tuoi globuli rossi, nelle cellule del tuo animo, e tutte le altre cose che durante la vita ti sfiorano la pelle, quelle sono solo contorno. patatine fritte, verdure grigliate, patate al forno, insalata. ma la bistecca è un’altra cosa. chi non ha mai sentito quello sparo non potrà mai capirmi. e pace all’anima sua.

sabato 15 dicembre 2012

Alessandro il grande

Se c’è un uomo che ha oltrepassato ogni confine immaginabile, confine terrestre o mentale, quello sono io. Ho creato sulla terra, a forza di battaglie, il mondo che la mia evoluta mente aveva plasmato. “L’immaginazione governa il mondo” avrebbe detto secoli più avanti un altro grande generale, quel motto era già nelle mie corde e l’ho perseguito col sangue, il sudore e il metallo. La mia mente, nutrita dagli insegnamenti di Aristotele, presto oltrepassò i confini e i limiti del saggio maestro, il mio sguardo si perdeva oltre l’orizzonte, cibandosi di ambizione e visioni inaudite per ogni altro umano. L’assedio ad Alicarnasso, la battaglia di Gaugamela così come tante altre vittorie, sono dei veri miracoli di cuore, mente, brama, coraggio e determinazione. Un condottiero che ha visto, vissuto e vinto così tante battaglie, vi chiederete, chissà quanto dolore e sofferenza e morte avrà avuto modo di vivere con la propria pelle. Ma il dolore più grande della mia vita mi colse quando giunsi in quella stanza, e giunsi troppo tardi. Un messaggero mi informò che, nella città di Ecbatana, Efestione da giorni era straziato dalla febbre e aveva avuto ora un brusco peggioramento. Mi precipitai al suo capezzale ma, come ho detto, giunsi troppo tardi. Era già morto, il mio Efestione. Guerre e battaglie, vittorie o sconfitte non valgono quanto la perdita dell’unica persona che mi sia stata sempre vicina, quando un legame così puro e forte si spezza, ti senti improvvisamente più solo che mai, gli altri esseri umani ti sembra che non appartengano al tuo stesso genere, ti senti sprofondare e nel dolore sprofondai. Prima il mio cuore, poi la mia mente, infine il mio corpo non ressero tanto tempo a quell’assenza così profonda, mi spensi dopo meno di un anno. Il figlio di Zeus, il discendente di Achille, il figlio di Dioniso era morto, col corpo tormentato dalle cicatrici di mille battaglie e l’animo e il cuore deturpati da un insanabile dolore che nessuno potrà mai capire.

mercoledì 12 dicembre 2012


seduto sul pavimento musica e candele respiro sono leggero lontano una specie di stato di grazia distante dai rumori e dalle voci e dai volti dei manichini di cui non m’importa niente. se morissi ora morirei sereno. limpido come un fiocco di neve che volteggia nel cielo freddo dell’antartide. un giorno, quando giungerà il mio momento, vorrei morire così. è una mia notte anche se è più soffice delle solite, i miei lupi sono mansueti al mio cospetto, resteranno accovacciati ai piedi del mio letto per tutta questa notte, mi sorveglieranno in silenzio attenti col loro alito caldo e selvaggio. immagino un colpo di pistola dritto nella mia fronte, lo immagino come un bacio tenero  caldo e morbido. 

sabato 8 dicembre 2012




una courtney tutta da finire...











... prima o poi lo finirò eheheh

venerdì 7 dicembre 2012


festeggio da solo stando a casa non facendo assolutamente nulla. la mia festa preferita. i miei amici sono tutti qui invitati tra queste mura. sono solo. e sto così bene. mi fa sorridere sferzante il pensiero che alcuni pensano ad un capodanno da trascorrere in crociera. una condanna a morte acquistata magari a piccole rate mensili. poco fa mi sono procurato un bel taglio in un dito, piuttosto profondo. per tagliare corto potrei dire che è successo mentre cucinavo ma in realtà i coltelli da cucina non c’entrano, stavo semplicemente rimuovendo il coperchietto di un lumicino cimiteriale, di quelli cilindrici in plastica rossa, costano poco, sguscio le candele liberandole dal loro involucro plastificato e le uso come domestiche candele per regalarmi un’atmosfera sofficemente ottocentesca. ho lasciato che il dito sanguinasse copiosamente prima di applicare un cerotto, ho ascoltato il mio sangue scorrere libero e silenzioso come un rivolo di lacrime in un volto ingabbiato in un monolocale metropolitano. tra candele e taglietto e sangue e totale assenza di trucco sono piuttosto folle. e mi piace. col travestimento da pagliaccio nessuno scorgerà i bagliori della follia sapientemente tenuta a bada. sorseggio un bicchiere di porto, non amo particolarmente il porto ma qualche volta, quando penso ad hemingway, non resisto a concedermi un goccio di quel rosso vino dolciastro. potenza della letteratura, potere e fascino dei grandi scrittori. il de profundis è una profonda lettera che oscar wilde scrisse dal carcere al suo amico e amante bosie. profondità di un’anima sensibile e sofferente annodate all’esistenza terrena. io ho avuto la mia bellissima musa dalle vene di ghiaccio. per lei ho ormeggiato la mia anima sul suolo di questo pianeta. e l’ho fatto senza sforzo. be’, lei era la mia bellissima musa dalle vene di ghiaccio. adoro la mia calma follia apparentemente priva di clamori. tra le mie quattro mura sono così bello pallido struccato e candidamente folle. il costume del pagliaccio attende inerte poggiato su una sedia. stanotte dormirò nudo. nudo e struccato. al diavolo il mondo, al diavolo il circo.


martedì 4 dicembre 2012

Edgar Allan Poe

Ci sono persone che nascono nella bambagia, tra agiatezze, comodità e ricchezze, e la fortuna sembra non abbandonarle mai per tutto il corso della vita. Io non faccio parte di questa schiera ma, anche se non sono nato tra opulenze e benessere, amo la storia dei miei sventurati genitori che mi misero al mondo: lui s’innamorò di un’attricetta girovaga molto bella, priva di talento ma molto bella e il pubblico se non altro la apprezzava per via della sua bellezza; lui, mio padre, che di talento per la recitazione ne aveva ancora meno, decise di seguirla e diventò anch’egli un attore girovago, e la sposò. Ben presto si trovarono a girovagare come dei poveracci e praticamente, quando io avevo appena due anni, morirono di fame e di stenti, praticamente morirono di miseria a poche settimane di distanza l’uno dall’altra. Mi adottò poi un ricco mercante di nome Allan, in seguito sposai mia cugina tredicenne Virginia, che dopo dieci anni morì di tubercolosi. Dio, quanto amavo quella donna, nessun uomo ha mai amato tanto una donna. La sua morte mi fece sprofondare in un cupo oceano di sofferenza, dolore e desolazione e cominciai a bere molto, molto di più di quanto già facessi. Una malinconia nera come il petrolio offuscò per sempre la mia anima, come un velo intessuto di amarezza, disperazione e tormento. Scrissi intingendo il pennino in quel calamaio che era la mia anima, colma di un inchiostro scuro, denso di dolore e afflizione, dove non penetrava un solo raggio di luce. L’alcol mi aiutava ad immergermi nelle mie fantasie intrise di un infinito sconforto e venate di un’indomabile angoscia, e nell’ebbrezza alcolica mantenevo prodigiosamente la lucidità per scrivere con un’esattezza limpida e  metodica. Quando penso all’uomo medio, accorto e misurato, oculato, previdente, parsimonioso, mite e moderato, ebbene io ero l’esatto opposto. Ho vissuto nella miseria, trascinato da un’incessante bufera di infelicità e mestizia, un corvo sferzato dal freddo di un inverno persistente che è durato una vita intera.

domenica 2 dicembre 2012


capirmi (almeno un pochino) significa lasciarmi volare evitare di cercare di trattenermi per non farmi andare. via. se tieni ad una persona non la fai cadere. la gelosia è una stupida zavorra cibo per menti insicure. capirmi significa lasciarmi tagliare lasciarmi mordere e sbranare dai lupi, lasciare che la mia splendida dama ottocentesca si preoccupi per me. lasciare che dorma solo e male per intere settimane. a proposito, da parecchi giorni non faccio un buon sonno, la pelle del viso è sgualcita, i capelli secchi e sottili. poco fa pensavo. non trascrivo i miei pensieri perché 1 ci vorrebbe un sacco di spazio 2 adoro scrivere in diretta, odio copiare seppure dai miei appunti mentali. scrivere qui credo sia l’unico stralcio di umanità che mi rimane. gli umani, a quanto sento dire, sentono l’esigenza di relazionarsi coi loro simili. scrivere qui è l’ultimo brandello di umanità attaccato ciondolante alla mia carne. intendo scrivere qui, con l’idea che forse qualcuno leggerà. perché scrivere in generale, l’atto di scrivere intendo, be’ quello per me è come sanguinare. credo che se non ci fosse il circo a trattenermi come un filo metallico, credo che spiccherei il volo distaccandomi dal suolo della realtà. dal punto di vista degli umani forse il circo è persino un bene per la mia salute mentale. e questo già la dice lunga su quanto poco gli umani apprezzino la libertà. se non ci fosse il circo, se non avessi bisogno di fare il pagliaccio (hey cervello, non provare nemmeno ad immaginarlo sennò la delusione potrebbe esserti fatale e vedi di acquietare quest’incontenibile erezione intellettuale che preme contro la scatola cranica) che splendida vita da emarginato che farei! fare il pagliaccio mi fa sudare, anche in senso letterale. e se sudo e sono così distaccato e flemmatico è perché i panni che ho addosso sono così stretti. regalatemi un open space col parquet e un’esigua rendita che mi consenta a malapena di mangiare e farete di me un uomo felice. sarei il re del mondo. perlomeno del mio mondo. e visto che del vostro, di mondo, non me ne importa un granchè sarei l’uomo più felice della terra. vivrei e morirei felice. se non altro libero. inauguro una sottoscrizione, inviate un euro al ilbattelloebbro-ilredelsuomondo.oniricom.