mercoledì 20 agosto 2008

In utero (VI)

Probabilmente penserete “ma come fa questo qui a sapere/conoscere fatti e persone del nostro mondo se da tempo è rinchiuso nella sua celletta oscura?”. Qua le cose si sanno. Però, a quanto pare, poco prima di veder la luce del sole, subirò un trattamento che mi ridonerà una sorta di verginità mnemonica, mi offriranno un bel sorso d’acqua del fiume Lete, il fiume dell’oblio citato nelle ultime pagine de La Repubblica di Platone, e la mia intelligenza assumerà le sembianze di un foglio bianco, pronto ad accumulare nozioni ed esperienze, positive e negative. In rari casi succede che le acque dell’oblio lascino qualche sprazzo di reminiscenza, così avremo qualche uomo che potrà donarci alcuni lampi d’infinito senza sapere da dove gli vengano certe conoscenze, certe intuizioni. Parlo di uomini dalla mente particolarmente aperta, priva dei dozzinali steccati che normalmente limitano le menti comuni. Alcuni esempi?
Il poverello d’Assisi, vissuto a cavallo tra il 1100 e il 1200, che scambiò le sue vesti con quelle di un mendicante e si mise a chiedere l’elemosina davanti alla porta di San Pietro, che abbracciò e baciò i lebbrosi, che rievocò la nascita di Gesù dando origine alla tradizione del presepe, che quietò e ammansì un lupo per le vie di Gubbio, che visse da pazzo, da giullare, da vero e meraviglioso sovversivo e che sposò l’umiltà come mai nessuno fece.
Il sommo poeta, nato a Firenze una quarantina d’anni dopo la morte del santo di Assisi, che scrisse quella che il dottissimo scrittore e poeta argentino Jorge Luis Borges definì “il più grande capolavoro che mente umana abbia mai creato”, un viaggio raccontato in terzine incatenate di versi endecassilabi, un viaggio, attraverso i tre mondi dell’aldilà, intriso oltre che di spiritualità di chiara ispirazione cristiana anche di tutto ciò che permeava la vita a quei tempi, guerre e politica, cocenti passioni e religiose devozioni, aperture cosmologiche e tentativi di scientifiche spiegazioni di fenomeni naturali. Un viaggio con lo scopo ultimo di illuminare la via per la redenzione dell’umanità tutta.
E, visto che ho citato il santo d’Assisi, a Francesco s’interessò anche uno scrittore tedesco nato nel 1877 che, oltre a scrivere un saggio biografico sul giullare di Dio scrisse anche di una persona dilaniata dal conflitto interiore tra l’uomo e il lupo che albergano al suo interno, il lupo della steppa. E, parlando di questo dissidio tra l’uomo razionale e civilizzato e il lupo selvatico e viscerale, il pensiero corre naturalmente alla felicissima intuizione del filosofo nato a Rocken, nei pressi di Lipsia, nel 1844, che dimostrò come la tragedia greca, e dunque tutta l’arte occidentale, nasca dall’insanabile dualismo tra l’apollineo e il dionisiaco. E, a proposito di tragedia, mi viene in mente che questi esseri hanno fondamentalmente due vie per vivere (e morire): una via è la mimetizzazione nella società grigia e mediocre, l’altra è vivere (e morire) tragicamente: come Francesco, che mandò all’aria tutti le comodità che la sua condizione agiata poteva concedergli, come Dante che morì in esilio, come Nietzsche (o anche Hermann Hesse) che fu etichettato come pazzo dai suoi contemporanei. E come il signor James Douglas Morrison, che cercò di conciliare le due vie, quella della mimetizzazione e quella del viver tragico ma poi, rendendosi conto che alla fin fine era cosa impossibile, si abbandonò alla tragedia e divenne una moderna incarnazione del dio tragico delle baccanti.

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