c’è una
certa forma di masochismo nel provare piacere nell’esser così distante da un
buon sonno. romantica elettricità viscerale, qualcosa del genere. qualche
secolo fa, era il 1817, ero bambino, avevo pochi anni, un bellissimo pallore
cadaverico s’impadronì di me, un branco di lupi nel bosco girovagava inquieto e
affamato, il cielo era di un azzurro pastello così tenue, sentii una sensazione
di distanza dal mondo intero, mi era già capitato di avvertirla nei secoli
addietro, sentii di nascere, o rinascere, dall’oscurità e dal silenzio. sentivo
di non appartenere ad alcuna famiglia terrena, di umani insomma. vidi forse per
la prima volta la mia splendida dama ottocentesca. mi guardava come una madre,
come la morte, come una maledizione che ha trovato il suo scopo. era bella, il
suo sguardo era solo per me, mi sentivo invisibile a tutti gli occhi umani,
sentivo che mi sarei voluto far vedere solo da quello sguardo così nero,
intenso, un nero lucido scintillante, di una bellezza commovente. sentivo di
voler essere suo, la sensazione di un bambino per la propria madre. baciato da
quello sguardo sentivo di non dover rincorrere nulla. dal bosco, non chiedetemi
come facessi a sentirlo, udivo un suono di tamburi, quel suono mi trasmetteva
una specie di elettricità simile a quella che sento adesso. poi mi sono
svegliato (o addormentato) in questo vostro mondo, affibbiato ad una
famigliola, una casa, l’asilo, la scuola e tutte quelle cose lì. catapultato in
un cazzo di circo senza nemmeno fare domanda d’assunzione. ma si tratta di un
tedioso lavoretto da impiegatuccio. non sono nato in questo mondo e per questo
non ci sono affezionato.
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