venerdì 27 settembre 2013

c’è una certa forma di masochismo nel provare piacere nell’esser così distante da un buon sonno. romantica elettricità viscerale, qualcosa del genere. qualche secolo fa, era il 1817, ero bambino, avevo pochi anni, un bellissimo pallore cadaverico s’impadronì di me, un branco di lupi nel bosco girovagava inquieto e affamato, il cielo era di un azzurro pastello così tenue, sentii una sensazione di distanza dal mondo intero, mi era già capitato di avvertirla nei secoli addietro, sentii di nascere, o rinascere, dall’oscurità e dal silenzio. sentivo di non appartenere ad alcuna famiglia terrena, di umani insomma. vidi forse per la prima volta la mia splendida dama ottocentesca. mi guardava come una madre, come la morte, come una maledizione che ha trovato il suo scopo. era bella, il suo sguardo era solo per me, mi sentivo invisibile a tutti gli occhi umani, sentivo che mi sarei voluto far vedere solo da quello sguardo così nero, intenso, un nero lucido scintillante, di una bellezza commovente. sentivo di voler essere suo, la sensazione di un bambino per la propria madre. baciato da quello sguardo sentivo di non dover rincorrere nulla. dal bosco, non chiedetemi come facessi a sentirlo, udivo un suono di tamburi, quel suono mi trasmetteva una specie di elettricità simile a quella che sento adesso. poi mi sono svegliato (o addormentato) in questo vostro mondo, affibbiato ad una famigliola, una casa, l’asilo, la scuola e tutte quelle cose lì. catapultato in un cazzo di circo senza nemmeno fare domanda d’assunzione. ma si tratta di un tedioso lavoretto da impiegatuccio. non sono nato in questo mondo e per questo non ci sono affezionato.

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