nudo sudo
mi graffio mi coloro mi lavo. forse buio. prendere a calci un po’ di soffici
nubi colorate parlanti. adesso tamburi e fuochi e selvagge danze malferme.
porte chiuse e mente spalancata. ancora calci al globo e qualche sputo sul
tendone. lascio evaporare ogni parola. i lupi brancolano nella loro dolce
casetta cittadina. lo sguardo tenero e premuroso della mia splendida dama
ottocentesca. ha occhi neri pelle bianca e un vestito rosso. il fondo di un
oceano di petrolio bellezza cadaverica e il fuoco amico che brucia. violenza
bacia quiete. tristezza bambina e inviolabile sicurezza adulta. inarrivabile
bellezza di dama. la mia splendida dama ottocentesca. mi dice cose senza
parlare sussurra alla mia anima senza aprir bocca. seduto sul pavimento del mio
piccolo mondo elitario. mi bacia con quel suo sguardo che è l’unica tenerezza
accettabile. mi spiega quanto sia duro amare la solitudine. i suoi occhi neri
accendono le mie tenebre come fuochi domestici. intanto io mitemente mi graffio
fino a sanguinare soffici colori carezzano la mie pelle sono un pellerossa
guerriero pronto alla sua battaglia tutta interiore. pronto a morire.
desiderando che il mondo resti fuori. cresce nella mia stanza davanti a me in
due o tre secondi un’enorme quercia alta venti trenta metri almeno. la
corteccia è magnificamente irregolare solcata dall’amore del tempo che uccide.
vorrei abbracciare la corteccia così forte da morire. c’è tutto il mio futuro e
la mia sofferenza in quelle pieghe. in quelle piaghe senza cuore. anche senza
specchio posso vedere il mio occhio pozzo fondale baratro e burrone. se solo lo
guardaste ora sareste risucchiati come in un buco nero. un aspirapolvere
cosmico incassato nella mia scatola cranica. accolgo le stranezze dell’aria che
mi giungono come portate da lontano dalle ali della notte. i graffi sulla mia
pelle sono più profondi dei solchi sulla corteccia il mio sangue è tempo tempo
nato e cresciuto nel cuore dell’africa una lunga leccata sull’equatore una
risata una festa senza invitati una processione di pazzi pupazzi assassini.
vorrei pisciare ora in un fiume. per sentire la mia vita che fuoriesce a caldi
fiotti dal mio corpo. pisciare all’aria aperta in piena notte è un po’ come
sanguinare. in questo momento vorrei che mentre leggi queste parole pensassi
che non puoi fare a meno di me. ti faccio entrare dentro di me nella mia
foresta vorrei prendessi a morsi il mio cuore. mi mordo una spalla. la mia
notte è un viaggio un viaggio al termine della notte. erezione letteraria
cèline che scrittore! la sua ironia si slinguazza con la sofferenza sotto le
fronde dell’albero della grande scrittura. reclino la testa all’indietro
guardando il soffitto sono una specie di dio che nessuno può toccare sentire
vedere. immaginare. tra tamburi danze colori fuochi e sangue stranamente ancora
non sono morto. uff. spero di non fare sogni ambientati in un qualche angolo di
terra frequentato nel mio passato. stanotte voglio fantastici scenari ultraterreni.
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