diomio i miei lupi stanotte sono più affamati che
mai, non riesco nemmeno a stare sul letto, devo stare seduto sul divano, in
salotto, forse per tutta la notte. ho il viso stravolto, stanco, sfibrato,
invecchiato, la mia maschera è uno scafo eroso dai salmastri e invisibili venti
che nascono come fumi o nebbie spettacolari, come napalm che si appiccica alla
pelle e non la abbandona abbracciandola sino alla morte. ricordo ora, non so
perché, quando da bambino ero ammalato, quando avevo la febbre, ricordo la
meravigliosa sensazione di una spossatezza che mi molestava e quella molestia
io la vivevo come una confortevole coperta che mi coccolava. immagino ora la
fredda metallica estremità di una pistola che mi premo contro la fronte,
immagino che premendo il grilletto si sentirebbe un crack della scatola cranica
che si frantuma come vetro, adoro ora il suono di quel crack immaginario.
seduto sul pavimento rannicchiato con le braccia che stringono le ginocchia, i
piedi nudi sul verde del prato fatto di freddo bianco marmo di un appartamento
cittadino. se mi passate l’ossimoro, un’inquieta serenità aleggia dentro il mio
animo un poco ruvido e blueseggiante. la solitudine che mi sono regalato, o a
cui sono stato destinato, è sempre più salda ed ha sempre più il sapore di una
certezza che, a modo suo, mi dona una certezza solida come marmo. vorrei aver
scritto moby dick. vorrei il talento pittorico di Raffaello. il resto è aria
che riempie il tendone del circo quando lo spettacolo è finito, quando la gente
se n’è andata e restano le cartacce, il silenzioso disordine e la puzza degli
animali mista al dolciastro respiro di pop corn e zucchero filato.
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